Il Disturbo Bipolare da Omero a oggi
Capita ad ognuno di noi di sperimentare nel corso delle settimane o dei mesi piccoli cambiamenti dell’umore in cui si alternano momenti di contentezza, aumento delle energie e della sicurezza in noi stessi e momenti di tristezza, facile stancabilità e insicurezza. Si tratta di oscillazioni, a volte spontanee a volte in risposta alle circostanze, che ci aiutano ad adattarci meglio alla realtà perché aumentano o riducono la spinta a fare e favoriscono la messa in atto dei comportamenti di volta in volta più adeguati. In alcuni casi, però, queste oscillazioni possono diventare così intense e prolungate da dare luogo a veri e propri quadri patologici corrispondenti a ciò che viene definito disturbo bipolare.
Un disturbo che, come la depressione, non è un prodotto dei nostri tempi, come molti credono, ma ha una storia antica.
Le prime tracce ci portano in Grecia
Nel IX secolo a.C. il poeta Omero racconta nell’Iliade la storia di Aiace Telamonio che passa dalla sovraeccitazione alla più profonda disperazione culminante nel suicidio. Successivamente, nel IV secolo a.C. Ippocrate, considerato il padre della medicina, formula la prima classificazione dei disturbi mentali dividendoli in “melancolia”, “mania” e “paranoia” attribuendo la melancolia (corrispondente a quella che oggi chiamiamo depressione) ad un eccesso di bile nera e la mania (corrispondente a quella che oggi chiamiamo eccitativa del disturbo bipolare) ad un eccesso di bile gialla.
Nel I secolo d.C. Areteo di Cappadocia descrive, nel suo volume “Sulle cause e sui sintomi delle malattie croniche”, gli stati di mania e melancolia con tale sorprendente analogia ai criteri moderni da essere considerato il primo esperto di disturbo bipolare:
“I melanconici sono sia quieti o disforici, tristi o apatici, inoltre possono essere molto irritabili senza motivo”.
“Alcuni pazienti con mania ridono, giocano, danzano giorno e notte, passeggiano nel mercato a volte con una ghirlanda sulla testa, come fossero i vincitori di un gioco”.
E precisa inoltre:
“In molti melancolici la tristezza si attenua e dopo un lasso di tempo variabile si trasforma in felicità: a quel punto il paziente diventa maniaco”.
Seguono secoli oscuri.
A partire dal medioevo i disturbi psichiatrici e anche il disturbo bipolare, escono dall’ambito della medicina per essere attribuiti a cause demoniache.
È solo alla fine del 1600 che Thomas Willis (1676) prima, Giovanni Battista Morgagni (1761) e Antoine Charles Lorry (1765) poi, osservano come in alcune persone mania e melancolia si alternano nel tempo e ipotizzano una relazione tra queste due condizioni.
Lo sviluppo scientifico del XVIII secolo conduce ad un significativo progresso nella comprensione dei disturbi mentali e, per quanto riguarda il disturbo bipolare, il medico italiano Vincenzo Chiarugi (1794) scrive che:
“La mania può essere considerata lo stato opposto alla melancolia”.
Comincia la storia moderna del disturbo bipolare
Contrariamente a quanto comunemente ritenuto questa storia non continua in Germania ma in Francia ad opera di due clinici, Jules Baillarger e Jean Pierre Falret, che, nel 1854 a poca distanza di tempo e indipendentemente l’uno dall’altro, dichiarano di aver scoperto un nuovo disturbo mentale.
Baillarger (1854) scrive:
“Ho osservato una malattia caratterizzata da due regolari periodi, uno di depressione e uno di eccitamento, che ho chiamato Follia a doppia forma. I due periodi, presi insieme costituiscono un attacco…Gli attacchi possono essere isolati, intermittenti o possono susseguirsi senza interruzione. In alcune forme il passaggio tra i due periodi è brusco e avviene spesso durante il sonno.”
Falret (1854) riporta:
“Con il termine Follia circolare indico una forma di disturbo mentale caratterizzata dalla regolare alternanza di mania e melanconia. Ciascun attacco, o ciclo, di questa malattia include tre periodi: mania, depressione, intervallo libero”.
Tra i due clinici francesi, che si accusarono a vicenda di plagio, nacque un astio tremendo durato per tutta la vita. Con lo sposamento dell’asse culturale dalla Francia alla Germania il contributo di Baillarger e Falret viene presto dimenticato e si diffondono le nuove descrizioni di Wilhelm Griesinger, di Karl Kahlbaum e, soprattutto, di un allievo di quest’ultimo, Emil Kraeplin.
Il contributo di Emil Kraepelin, all’inizio del ‘900
“In base a decorso ed esiti includerei nella Malattia maniaco-depressiva numerose forme considerate autonome: mania, depressione, follia circolare e periodica, stati misti, forme con oscillazioni dell’umore lievi ma continue. Queste forme costituiscono un processo morboso unico perché hanno una comune ereditarietà, un decorso ricorrente con intervalli liberi e, nel tempo, è possibile il passaggio da una forma ad un’altra” (Kraepelin, 1904).
Il lavoro di Emil Kraepelin sarà considerato fondamentale e lui meriterà il titolo di “padre della psichiatria moderna”. Nel 1929 Oswald Bumke, allievo di Kraepelin, descrive tutte le possibili modalità con cui mania e depressione possono alternarsi nel tempo, cioè i diversi tipi di decorso della malattia maniaco-depressiva.
Il concetto di malattia manico-depressiva proposto da Kraepelin, cioè di una patologia unica in cui includere dalla semplice e occasionale depressione alle gravi forme con ricadute prevalentemente maniacali, rimane dominante fino alla metà del secolo scorso quando due clinici tedeschi, Karl Kleist e Karl Leonhard, introducono nuovi elementi di discussione. I due psichiatri propongono di separare le forme in cui si alternano mania e depressive, che definiscono “Disturbi Bipolari”, dalle forme caratterizzate esclusivamente da un susseguirsi di fasi depressive, che chiamano “Disturbi Monopolari”. Un decennio dopo Jules Angst (1966) e Carlo Perris (1966), in base ai risultati di studi genetici e di familiarità, confermano la distinzione tra forme unipolari e bipolari.
Un ulteriore passo verso una più precisa definizione del disturbo bipolare
Nel 1979 tre psichiatri americani, Frederick Goodwin, David Dunner e Eliot Gershon, descrivono delle forme apparentemente unipolari in cui le fasi depressive si alternano a fasi di lieve eccitazione:
“In queste forme gli episodi depressivi si alternano a quadri espansivi di minore gravità, ipomaniacali, che non richiedono ospedalizzazione. Queste forme, che chiameremo bipolari II, hanno caratteristiche cliniche, di decorso e di risposta ai trattamenti, intermedie tra quelle bipolari classiche (bipolari I) e quelle unipolari. Sono inoltre stabili nel tempo.”
Le osservazioni di Goodwin e colleghi, grazie alle quali si sancisce l’esistenza di 2 sottotipi di disturbo bipolare (tipo I e II), non sono del tutto nuove in quanto già nel 1887 Ewald Hecker, uno psichiatra che svolge esclusivamente attività privata e quindi cura le forme più lievi, scrive:
“In alcuni pazienti con ciclotimia lo stato di eccitazione è tanto lieve da sfuggire all’attenzione del medico, dei familiari e del paziente stesso. Il paziente ne diventa consapevole solo quando gli descrivo le caratteristiche di questo stato. Non di rado tuttavia, è riluttante ad ammettere di star male proprio quando lui si sente “benissimo”.
Con il concetto di spettro arriviamo ad oggi
Negli ultimi venti anni i confini del disturbo bipolare si sono ulteriormente estesi fino a comprendere, per esempio, le depressioni apparentemente unipolari in cui sono presenti anche sintomi eccitativi (la cosiddetta “depressione mista”) e le depressioni che non si alternano a fasi maniacali o ipomaniacali ma che si manifestano in chi ha particolari caratteristiche temperamentali o una familiarità per disturbo bipolare.
Questi recenti cambiamenti sono il frutto di studi e osservazioni cliniche di alcuni psichiatri statunitensi, tra cui Hagop Akiskal, e italiani, in particolare Athanasio Koukopoulos e Giovanni Battista Cassano, e hanno portato alla formulazione dell’attuale concetto di “Spettro dei disturbi dell’umore” proposta dalla Scuola di Pisa. Tale concetto ipotizza che ci sia una continuità tra le normali oscillazioni dell’umore, la depressione unipolare e il disturbo bipolare
Iniziata circa tremila anni fa con Omero, la storia del disturbo bipolare continua ad essere scritta perché le conoscenze su questa complessa e molto studiata patologia, sono in continua evoluzione. E questo è un bene perché ogni avanzamento delle conoscenze aumenta le capacità diagnostiche da parte dei clinici e la possibilità di proporre cure più personalizzate ed efficaci con conseguente riduzione della sofferenza per chi sta male e per i suoi familiari.
Approfondimenti:
Disturbo Bipolare, cos’è
Depressione, cos’è
Breve storia della depressione