Il clima cambia…e noi anche.
Emozioni e tempo atmosferico formano una diade conosciuta dagli albori e con i nuovi fenomeni dovuti al mutamento climatico sono sempre di più gli studi che correlano il riscaldamento globale alla salute mentale. Secondo gli studi del NOAA’s National Centers for Environmental Information (il più grande archivio sui dati ambientali nel mondo) l’anno 2019 è stato il secondo anno più caldo degli ultimi 140 anni. Questo è in linea con i dati della Nasa che ci informano di un costante aumento delle temperature medie globali, con un conseguente surriscaldamento globale. Si è inoltre conclusa (il 13 dicembre 2019) la COP25, la conferenza mondiale sul clima, i cui punti in agenda mirano a fermare questo trend in ascesa della temperatura e del cambiamento climatico.
Cosa comporta però il cambiamento climatico a livello della salute mentale? Il tema è molto complesso.
Gli studi in questo settore si stanno facendo via via più intensi a causa dell’aumento dei disastri naturali e dei cambiamenti territoriali a lungo termine. Disastri quali alluvioni, inondazioni, tornado, tsunami, incendi, siccità, sono eventi improvvisi, molto intensi, che mettono parte della popolazione in pericolo di vita. Con il surriscaldamento globale questi fenomeni diventano più intensi e più frequenti. Ci sono naturalmente territori maggiormente esposti a questo tipo di fenomeni atmosferici (sud est asiatico, Caraibi, Brasile, Australia ecc.) per via della loro predisposizione territoriale.
L’impatto di tali fenomeni estremi va da un generico aumento della mortalità, in particolare alla mortalità dovuta ad un aumento di patologie cardiovascolari e malattie infettive trasmesse da acqua e cibo contaminati e all’insorgenza ex novo di patologie psichiatriche come: ansia, disturbo da stress post-traumatico (PTSD), depressione, ideazione suicidaria e aumento di mortalità per suicidio. Le persone che già soffrono di patologie psichiatriche inoltre possono diventare più vulnerabili alle ricadute con rischio aumentato di ospedalizzazione e di suicidio.
Facciamo un esempio. Il nostro paese non è (per fortuna) esposto a grandi eventi climatici, però l’aumento delle temperature globali porta ad avere estati molto calde e autunni più piovosi. L’aumento della temperatura favorisce i cosiddetti picchi di calore, giorni con temperature sopra la media e quindi più caldi.
Sappiamo che la temperatura esterna ideale per l’organismo umano è di 22°C ma quando inizia a superare i 35°C il corpo umano ha difficoltà di dispersione del calore. Questi picchi di calore causano, cioè, un’alterazione della termoregolazione e cambiamenti nella concentrazione di alcuni neurotrasmettitori (dopamina, serotonina e triptofano) aumentando, secondo gli studi scientifici il rischio di malattie psichiatriche.
Può trattarsi di: stati di euforia negli anziani, disturbi dell’umore episodici, aumento dei ricoveri, aumento della mortalità tra le persone con disturbi del comportamento e disturbi mentali, abuso di sostanze, schizofrenia. Stanchezza e nervosismo dovuti al caldo provocano inoltre rischio di aggressività con violenza e autolesionismo, omicidio e suicidio. Tutto questo accade “solo per il caldo”.
Gli studi hanno correlato ad altri eventi estremi l’insorgenza o l’aggravarsi delle malattie psichiatriche. Per esempio, per quanto riguarda la siccità e gli incendi si ha un aumento dei tassi di aggressività e di omicidio/suicidio. Per gli eventi estremi quali uragani, tornado e inondazioni, oltre ad un altissimo tasso di mortalità dovuto all’evento di per sé, gli effetti principali sono il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), la depressione e l’ansia.
È quasi intuitivo supporre che, a seguito di un disastro di tali proporzioni da portare distruzione e morte su larga scala, le conseguenze sulla salute mentale siano inevitabili.
Che dire però di quegli eventi che non sono né estremi né immediati ma tendono a svilupparsi a lungo-termine? Parliamo di deforestazione, aumento della desertificazione, scioglimento dei ghiacciai e innalzamento del livello del mare, fenomeni quindi lenti ma presenti ed inesorabili. Anche questi, in maniera indiretta, possono avere il loro impatto sulla psiche.
Le modificazioni territoriali possono infatti indurre la popolazione a sviluppare un profondo senso di perdita e distacco dall’ambiente conosciuto: un fenomeno noto con il nome di solastalgia. Il termine è nuovo ma sta diventando sempre più di uso comune, tanto che nel rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è stato inserito come conseguenza psicologica del cambiamento climatico. Il significato riconduce alla perdita del conforto del proprio territorio, simile a chi è costretto a migrare, con l’importante differenza però di trovarsi ancora nel proprio territorio, nella propria “casa” e accorgersi che sta cambiando, che non è più la stessa.
Anche altri termini stanno emergendo per descrivere nuove sensazioni ed emozioni legate ai cambiamenti climatici: eco-ansia (manifestare senso di perdita, mancanza di speranza e frustrazione dovuta all’incapacità di adattarsi al cambiamento climatico), eco-lutto (lutto e ansia che emergono specialmente nelle popolazioni indigene), eco-colpa (senso di colpa per ciò che si potrebbe fare per contrastare il cambiamento climatico ma non si fa) …
Come contrastare la crescente insorgenza di nuove patologie causate del cambiamento climatico? La strada migliore sembra essere far leva sulla capacità di adattamento e resilienza delle persone, affinché possano essere in grado di adattarsi in un mondo sempre più complesso ed in costante cambiamento.