Cosa migliora la resilienza, ovvero la capacità di non farsi travolgere dalle avversità.

Roberta Necci, 08/02/2016

Perché alcune persone mostrano una maggiore capacità di gestire e superare un trauma o un evento stressante? In altri termini, perché alcuni sono più resilienti di altri?

Il tema è stato affrontato nell’articolo Why are some individual more resilient than others: the role of social support.” curato dal National Center for Posttraumatic Stress Disorder (Connecticut, USA) e pubblicato sul numero di febbraio 2016 del World Journal of Psychiatry , in cui gli autori focalizzano l‘attenzione non solo sulle caratteristiche individuali delle persone resilienti ma anche sul ruolo del sostegno sociale.

Lo studio spiega che non sono solo le caratteristiche personali a contribuire alla capacità di rialzarsi e riorganizzarsi anche in presenza di condizioni molto difficili. E’ sapere di poter contare sull’aiuto degli altri che sembra avere un ruolo di grande rilievo nello sviluppo della resilienza mentre la mancanza di una rete di sostegno può avere ripercussioni negative sulle condizioni psichiche delle persone paragonabili, quantitativamente, a quelle che fumo, mancanza di attività fisica e obesità hanno sul nostro fisico.

Nell’articolo si segnalano anche i risultati di alcuni studi che dimostrano come la mancanza di supporto sociale contribuisca all’attivazione di specifiche aree del cervello associate alla paura o al sentirsi in pericolo. Al contrario, percepire una rete e sentire di esserne parte inibisce l’attivazione delle stesse aree, in un certo senso le “spegne”.

Leggendo l’articolo il mio pensiero è corso subito al fenomeno dell’Auto Aiuto, un esempio significativo di quanto percepirsi all’interno di contesto di sostegno contribuisca positivamente alla gestione della sofferenza derivante da una condizione difficile.
Penso non solo ai gruppi di auto aiuto per chi soffre di un disturbo mentale o di una patologia fisica cronica, ma anche a quelli per chi deve affrontare grandi cambiamenti di vita o, ancora, per chi è stato vittima di soprusi o traumi. Far parte di un contesto supportivo e percepirne la sua protezione rende più facile esprimere i propri stati emotivi, condividere la sofferenza ma anche adoperarsi per trovare soluzioni che permettano di sentirsi “meno a disagio nel disagio”.
Il sostegno, la solidarietà e la comprensione di chi si trova sulla stessa barca stimolano a guardare negli occhi la propria condizione e a conoscerla meglio anziché rifiutarla. Non è solo, come alcuni superficialmente ritengono, una condivisione lamentosa. Non è solo un piangersi addosso.
E’ non sentirsi soli, è capirsi, è guardare la propria sofferenza da prospettive diverse e vederne aspetti mai immaginati, è sapere di poter contare su altri che al momento opportuno saranno lì accanto a sostenere e incoraggiare. Allo stesso tempo è consapevolezza di essere uno degli “altri” e restituire aiuto a chi si trova, a sua volta, ad attraversare un momento difficile. Una consapevolezza che nutre il recupero di autostima e senso personale di utilità sociale, obiettivo fondamentale dell’auto aiuto descritto da Martini e Sequi (1988):

L’intento comune a tutti i gruppi di auto aiuto è quello di trasformare coloro che domandano aiuto in persone in grado di fornirlo “.

E’ indubbio, a mio avviso, che sia proprio questa reciprocità ad innescare circoli virtuosi e contribuire ad essere più resilienti, più capaci di rialzarsi e ricominciare.

Autore: Roberta Necci