Cosa può accadere nella mente di chi aggredisce una donna?

Antonio Tundo, 13/06/2016

Cosa può esserci dietro un aggressione? Esistono dei segnali che devono metterci in allarme?

Quasi non passa giorno senza che giornali e televisione riportino un nuovo, ennesimo caso di violenza su una donna da parte di un fidanzato o di un marito che non accetta la fine del rapporto o di un corteggiatore respinto. Violenza che a volte significa lesioni gravi altre un omicidio compiuto in modo efferato.
Le statistiche ufficiali (ISTAT, giugno 2015) ci dicono che in Italia una donna su cinque subisce almeno una volta nella vita una violenza fisica e che le aggressioni più gravi sono messe in atto proprio dal partner o da un ex partner.

Ma perché un uomo arriva a fare del male e persino a uccidere la donna che ha amato e che, spesso, pensa di amare ancora? Per molti è semplicemente la conseguenza del persistere di una mentalità maschilista che considera la donna un “oggetto” di “proprietà” del maschio.
Certamente questa visione che potremmo definire “maschio-centrica” dei rapporti tra i sessi può avere un peso, ma pensare che tutto sia causato da un fattore culturale rischia di far perdere di vista la complessità di un problema in cui entrano pesantemente in gioco anche problemi psichici come casi di disturbi di personalità o, come può accadere a volte, gravi patologie psichiatriche.
Se non si tiene conto di queste “motivazioni interne” e non si cerca di intervenire su di esse le diverse campagne di informazione in atto, promosse su internet e con video spesso molto efficaci e a forte impatto emotivo,  sono destinate a cambiare poco o nulla.

Proviamo quindi a comprendere la mente dell’aggressore facendoci guidare dalle informazioni emerse dai rigorosi studi scientifici ad oggi disponibili.
In alcuni casi può trattarsi di uomini con una smisurata stima di se stessi, che credono di essere “speciali”, “unici”, necessitano di avere su di sé tutta l’attenzione e l’ammirazione degli altri ma che, allo stesso tempo, sono incapaci di “calarsi nei panni” di chi gli sta vicino, di comprenderne e rispettarne gli stati d’animo, i desideri, le scelte. Sono spesso arroganti e presuntuosi e possono reagire con aggressività se, come nel caso di una separazione, ricevono una frustrazione.
In altri casi possono essere uomini con una gelosia morbosa ed esasperata che si alimenta di piccoli indizi e, a volte, proprio di nulla. Sono persone sospettose e ossessive che sottopongono la partner a estenuanti interrogatori per sapere tutto della sua vita affettiva e sessuale passata, che vogliono essere costantemente informati su come si veste, cosa fa, dove e con chi sta, e che controllano (autorizzati o non) mail e sms, telefonate e agende.
Che si tratti di una gelosia insana lo dimostra il fatto che qualsiasi chiarimento, qualsiasi rassicurazione, qualsiasi prova non serve a nulla: il dubbio è sempre pronto a esplodere con tutto il carico di rabbia e aggressività che si porta dietro.
Nell’uno e nell’altro caso queste persone non si rendono conto dell’abnormità delle loro pretese, sono certi della propria ragione e spesso, come nel caso della gelosia delirante, non hanno più un contatto adeguato con la realtà per cui interpretano frasi e comportamenti anche banali in chiave persecutoria. Nessuna prova del contrario è in grado di fargli cambiare idea e considerano le loro reazioni, compresa la violenza più estrema, giuste e proporzionate allo smacco subito.

In queste situazioni riconoscere i primi segnali di qualcosa che non va e riuscire a sottrarsi può evitare a una donna traumi profondi e, talvolta, salvare la vita. Per quanto per alcune, soprattutto in giovane età, essere oggetto di una forte attenzione  possa risultare inizialmente gratificante, è necessario tenere presente che la gelosia soffocante, morbosa che si nutre della necessità di sapere “proprio tutto “ dell’altro e della richiesta di essere continuamente connessi, non è prova di un amore profondo, ma di un bisogno patologico di controllo e di possesso dell’altro. Non accettare che esista alcuna  area privata dell’altro costituisce il primo gradino di una pericolosa escalation sempre più difficile da interrompere: frequente uso di termini offensivi, maltrattamenti psicologici, umiliazioni, scatti di rabbia improvvisi e imprevedibili, schiaffi, percosse.
L’amore sano non si nutre di questo, negare o minimizzare la gravità di simili comportamenti, accettarli nell’illusione che “con il tempo cambierà” o credere nella promessa ricevuta che “non succederà più” sono strategie che non conducono ad una soluzione. Prima o poi riaccadrà e un primo insulto pesante, un primo schiaffo devono essere segnali sufficienti per riuscire a sottrarsi ad una relazione patologica. E’ l’unica arma di difesa a disposizione anche se, ovviamente, non sempre è facile. Se si teme per la propria incolumità fisica è fondamentale parlarne con familiari e amici e, se necessario, sporgere denuncia. Per alcune donne le difficoltà di distacco possono essere di natura psicologica (paradossalmente alcune donne sono attratte da un uomo un po’ aggressivo e possessivo) in questo caso è opportuno farsi aiutare da uno psicologo esperto.

Per l’aggressore, senza che questo significhi sottrarlo alle conseguenze penali derivanti dai suoi gesti, dovrebbe essere prevista un’attenta valutazione psicologica e psichiatrica per comprendere le motivazioni alla base dei comportamenti violenti e mettere in atto interventi specifici volti ad evitare che, scontata la pena, riprenda le molestie alla stessa o a una nuova partner. Ma qui tutto si complica, sia perché la persona non ritiene di aver bisogno di aiuto e se lo accetta è, spesso, per avere un eventuale sconto di pena, sia perché nell’opinione pubblica, e nella legislazione che ne è lo specchio, prevale una posizione puramente repressiva.
Ad oggi non c’è una soluzione che metta d’accordo esigenze di sicurezza per le donne e necessità di cure per gli aggressori ma se si vuole arginare il fenomeno della violenza sulle donne si deve tenere conto che è importante intervenire su tutte le variabili in gioco, tanto culturali quanto sociali e psicologico/psichiatriche.

Tutto questo va sempre fatto con grandissima attenzione a non aggravare il già pesante stigma che circonda le patologie mentali e chi ne è affetto. Se da un lato la possibile presenza di un disturbo in chi commette atti tanto gravi deve essere considerata, non è ovviamente vero il contrario. Tutte le statistiche ci dicono infatti che la grandissima parte di coloro che soffrono di un disturbo psichico non solo non compie gesti aggressivi ma ne è più spesso vittima. Non dobbiamo mai dimenticare quindi che parliamo di casi eccezionali e di condizioni particolari in cui hanno un ruolo molti fattori diversi.

Muoversi in questo complicato gioco di equilibri, fatto di rispetto e attenzione per tutti, è certamente una battaglia difficile, ma la posta in gioco è troppo alta per non combatterla e vincerla.

Autore: Antonio Tundo