La cura della depressione è frutto di un complesso ragionamento clinico che deve tener conto di molti fattori.
Periodicamente in televisione o sui giornali si sente parlare di qualche nuovo studio che dimostrerebbe come gli antidepressivi siano inefficaci nella cura della depressione : “Come prendere uno zuccherino” è il commento che più comunemente viene riportato in questi casi.
Ma è veramente possibile che da oltre 50 anni, la commercializzazione del primo antidepressivo risale agli inizi degli anni 60 del secolo scorso, milioni di persone assumano quotidianamente farmaci inutili subendone per giunta gli effetti collaterali? Ovviamente no! Possibile, allora, che gli autori delle ricerche abbiano preso un abbaglio e che i giornalisti abbiano involontariamente diffuso un messaggio palesemente errato? Altrettanto ovviamente no!
L’equivoco nasce dal fatto che i mass media riportano i risultati di quelle che tecnicamente si definiscono meta-analisi, cioè studi in cui si sommano i risultati di numerose ricerche sperimentali condotte per verificare se un certo farmaco è più efficace del “placebo”, una pillola che contiene cioè una sostanza non attiva, e può essere messo in commercio.
Il metodo utilizzato in questi casi è quello di somministrare a tutti i pazienti con depressione lo stesso farmaco alle stesse dosi e in genere i risultati ottenuti sono modesti, di poco superiori del placebo (se così non fosse il farmaco non sarebbe messo in commercio).
Ma questo modo di procedere, per fortuna, non è certamente quello seguito ogni giorno dagli psichiatri che operano sul campo i quali, una volta effettuata la diagnosi, valutano una serie di fattori prima di individuare il farmaco o i farmaci più adatti per ciascun paziente.
La cura della depressione deve tenere conto, infatti, dell’età, della gravità e del tipo di sintomi e dell’eventuale presenza di altre patologie psichiatriche e/o mediche.
Per quanto riguarda l’età, nei giovanissimi funzionano meglio alcuni antidepressivi che inibiscono la ricaptazione della serotonina (i cosidetti SSRI) da associare ad una psicoterapia, preferibilmente cognitivo comportamentale. Negli ultraottantenni è invece necessario scegliere con grande attenzione un antidepressivo compatibile con le condizioni fisiche e con i farmaci assunti per altre malattie, in genere un SSRI o un farmaco che agisca contemporaneamente su serotonina e noradrenalina (SNRI).
Per quanto riguarda i sintomi prevalenti, ci sono diversi sottotipi di depressione ciascuno dei quali risponde selettivamente ad alcune e non ad altre terapie.
Per esempio, nella cosiddetta depressione “melanconica”, caratterizzata da perdita di interessi, abbandono delle abituali attività e dei rapporti sociali, idee di colpa, mancanza di appetito e conseguente dimagrimento, la cura più efficace è rappresentata dagli antidepressivi di prima generazione, o triciclici.
Al contrario, la cosiddetta depressione “atipica”, in cui lo stato depressivo risulta reattivo agli avvenimenti ed è presente un’eccessiva sensibilità al giudizio degli altri, un’intolleranza alle frustrazioni, una forte spinta a mangiare e un eccessivo bisogno di sonno, risponde meglio agli SSRI oppure a una vecchia famiglia di antidepressivi (inibitori delle monoamino-ossidasi o IMAO) e alla psicoterapia cognitivo comportamentale.
Gli SSRI sono la prima scelta anche in caso di depressione “ad andamento stagionale”, che si manifesta abitualmente in autunno-inverno con sintomi in parte simili a quelli della depressione atipica. In questa forma, oltre agli antidepressivi, si può utilizzare la “terapia della luce”, che consiste nell’esposizione per 30 minuti tutte le mattine alla luce di una particolare lampada.
Ulteriori varietà di depressione che richiedono un trattamento specifico sono la “distimia”, caratterizzata da pochi sintomi ma comunque invalidanti e da una durata superiore a 2 anni, per la quale è necessario utilizzare SSRI o SNRI a dosi piene; la “depressione psicotica”, da trattare con un’associazione di antidepressivi e antipsicotici per la presenza di deliri; “la depressione bipolare“, in cui è talvolta necessario trovare un’alternativa agli antidepressivi per evitare il rischio di un rapido passaggio ad una fase di euforia; e la depressione resistente, che può essere affrontata associando più farmaci secondo una precisa logica.
Infine, la cura della depressione è condizionata dall’eventuale presenza di un altro disturbo mentale o fisico, fenomeno che prende il nome di “comorbidità”. In caso di comorbidità psichiatrica è necessario selezionare un farmaco attivo sulle diverse patologie ed esclude quelli che, pur essendo utili contro la depressione, possono peggiorare il disturbo associato.
Per esempio, se concomita un disturbo di panico si utilizzano alcuni antidepressivi triciclici, come la clomipramina, oppure SSRI, come paroxetina, che hanno un’attività anti-panico, mentre se concomita un disturbo ossessivo compulsivo si selezionano la clomipramina, gli SSRI o la venlafaxina perché efficaci su ossessioni e compulsioni.
Se è presente una patologia medica è necessario valutare quale è l’antidepressivo più compatibile con questa e con le sue cure. Per esempio, in caso di infarto, di ictus, di ipertrofia prostatica o di glaucoma è preferibile utilizzare gli SSRI, in caso di diabete la fluoxetina, perchè faciliterebbe la riduzione del peso e migliorerebbe la resistenza all’insulina, in caso di sintomatologia dolorosa (cefalea, fibromialgia…) sono preferibili alcuni antidepressivi triciclici, come amitriptilina, o di nuova generazione, come venlafaxina, duloxetina e mirtazapina.
Da quanto sopra detto è evidente che il trattamento della depressione negli ambulatori medici è ben lontano dagli schematismi seguiti negli studi controllati mirati alla valutazione dell’efficacia di uno specifico farmaco.
Nella sua attività quotidiana, infatti, il clinico propone a ciascun paziente con depressione la sua cura frutto di un complesso ragionamento che tiene conto da una parte delle condizioni generali della persona e delle caratteristiche della sua depressione, dall’altra delle conoscenze scientifiche e della propria esperienza personale.
In altre parole, il suo compito è un po’ come quello di un buon sarto che per confezionare un abito di qualità deve tagliarlo e cucirlo sulle misure del proprio cliente e provarlo e riprovarlo finché non calzi a pennello.
Grazie alla personalizzazione della terapia le possibilità di vincere la depressione balza dal 30-50% degli studi sperimentali all’80-90% degli studi clinici.
Con buona pace di chi, seminando il panico, periodicamente afferma che gli antidepressivi “sono inutili” e che è “sufficiente la buona volontà per tenere lontana la depressione”.