“Sono tre mesi che cerco di uscire da questa depressione, lo specialista mi ha cambiato due volte la cura ma i miglioramenti sono minimi. Mi devo rassegnare e andare avanti così?”
Mi occupo da molti anni di depressione difficile da trattare (quella che tecnicamente si definisce depressione resistente alle terapie) e mi capita spesso di sentirmi rivolgere questa domanda dietro la quale percepisco l’angoscia che le cose possano veramente essere così, che quel profondo malessere che spegne la gioia di vivere possa non andare più via.
Paura e perdita della speranza sono comprensibili ma per fortuna raramente giustificate. Infatti, in base alla mia esperienza (ma è quello che dicono anche i risultati delle ricerche scientifiche) anche dopo 2 o 3 tentativi di cura senza successo ci sono ancora molte possibilità di riuscire a superare l’episodio depressivo.
Capire il problema
In questi casi la prima cosa che faccio è fermarmi e cercare di capire se la diagnosi di depressione è corretta (diversi disturbi psichiatrici e non solo la possono “simulare”), se gli antidepressivi utilizzati in precedenza erano adatti a quel particolare tipo di depressione (ce ne sono diverse forme, ciascuna delle quali richiede terapie differenti), se le dosi erano giuste (le dosi basse sono inefficaci) e se il tempo di assunzione era sufficiente (servono almeno 4-6 settimane per valutare il risultato).
Valutare le possibili strategie di cura
Una volta esclusi questi fattori che causano un “falsa” resistenza, valuto quale strategia di cura è più adatta alla persona che si rivolge a me. In linea di principio utilizzo le terapie più complesse, che hanno potenzialmente più effetti collaterali e necessitano un monitoraggio più attento, solo quando è strettamente necessario e dopo aver considerato insieme alla persona i possibili vantaggi e svantaggi.
Per questo, se non è già stato utilizzato e se non ci sono particolari controindicazioni, propongo innanzitutto di utilizzare un antidepressivo di prima generazione (o “triciclico”). Secondo me, ma questa è anche l’opinione della maggior parte dei clinici, i farmaci di questo gruppo sono più efficaci di quelli di nuova generazione ma sono sempre meno prescritti perché i loro effetti collaterali, se compaiono, sono più fastidiosi.
Un’ulteriore possibilità terapeutica è associare due antidepressivi, in genere uno di vecchia e uno di nuova generazione, che personalmente consiglio nelle forme con alle spalle meno tentativi di cura senza risposta e, soprattutto, quando la difficoltà a risolvere l’episodio depressivo è dovuta anche alla contemporanea presenza di un disturbo di panico o di un disturbo ossessivo compulsivo (quella che tecnicamente si definisce “comorbidità”).
Se la persona ha già utilizzato diversi antidepressivi senza trarne giovamento suggerisco quella che ritengo sia oggi la più valida strategia per affrontare una depressione resistente: l’associazione di un antidepressivo con un farmaco che nasce per altre patologie ma che è in grado di potenziarne l’effetto. Da anni, anche se non hanno un’indicazione “ufficiale”, si usano per questo scopo diversi farmaci, ognuno dei quali funziona meglio in certe situazioni e meno in altre e questo permette di scegliere quello di volta in volta più adatto, cioè di personalizzare la cura, aumentando così le probabilità di successo.
L’ultimo arrivato nel gruppo dei farmaci che potenziano l’effetto degli antidepressivi è l’esketamima che all’inizio del 2021 è entrata in commercio con l’indicazione ufficiale per la cura della depressione resistente. I risultati degli studi a cui è stata sottoposta sono promettenti ma al momento non ho un’esperienza diretta perché può essere utilizzata solo in alcune strutture cliniche e richiede il monitoraggio diretto da parte del personale sanitario durante la somministrazione.
Non solo farmaci
Affrontare una depressione che non si è risolta dopo diversi tentativi di cura non sempre richiede il ricorso a terapie farmacologiche complesse come quelle che ho descritto fin qui. A volte la mancata risposta ai farmaci è dovuta alla contemporanea presenza di un problema psicologico (per esempio quello che tecnicamente si definisce un “disturbo di personalità”) o ambientale e in questi casi suggerisco una combinazione di farmaci e psicoterapia Scelgo di volta in volta quale tipo di psicoterapia in base al tipo di problema riportato perché, secondo me, alcuni approcci terapeutici sono più indicati di altri.
E se nulla sembra funzionare?
Per i casi, ormai molto rari, in cui niente sembra funzionare rimangono le così dette terapie somatiche: la stimolazione magnetica transcranica (molto utilizzata negli Stati Uniti e sempre più diffusa anche in Italia) e la terapia elettroconvulsivante (che, in situazioni specifiche e a dispetto della sua cattiva fama, rappresenta un vero e proprio “salvavita”)
Torniamo alla domanda di partenza: mi devo rassegnare e andare avanti così?
Spero che chi mi ha seguito fin qui, persona che soffre di depressione o familiare, abbia già intuito la risposta: non è assolutamente il caso di rassegnarsi perché, dati scientifici alla mano, personalizzando la cura per molte depressioni che in precedenza non hanno risposto alle terapie ci sono possibilità di risoluzione.
Una strada che richiede tempo e pazienza e che un mio paziente, alla fine del nostro percorso di cura, riprendendo il discorso ha ricordato così:
“Provavo l’angoscia di chi si sente perso in un deserto, ma ho capito che dovevo mantenere la calma e affidarmi ad una guida esperta.
E finalmente un’oasi è spuntata all’orizzonte.”