di Antonio Tundo
Quanto è frequente e come si cura un disturbo la cui manifestazione è un episodio di ansia acuta che compare all’improvviso, senza un apparente motivo e spesso mentre si svolge una delle abituali attività quotidiane.
Un attacco di panico è una crisi d’ansia che arriva come un “fulmine a ciel sereno” con dei sintomi a volte imponenti che spaventano molto chi ne soffre.
Quanto è frequente
Si stima che l’1.5-5% della popolazione soffra di disturbo di panico, questo significa che in Italia tra 750 mila e 2 milioni e mezzo di persone hanno sofferto o soffrono di questo disturbo che di solito si manifesta tra i 15 ed i 35 anni, in media 25 anni, anche se può esordire sia nell’infanzia che dopo i 40 anni. Le donne hanno una probabilità doppia rispetto agli uomini di esserne colpite.
Come si manifesta
L’attacco di panico, o “paura allo stato puro” come spesso lo definisce chi lo ha provato, si manifesta con un’imponente sintomatologia fisica che varia da persona a persona e può interessare vari sistemi:
- cardiovascolare (batticuore, oppressione o dolore al torace, sensazione di caldo – freddo, sudorazione),
- respiratorio (senso di gola chiusa, impressione di soffocare)
- gastrointestinale (difficoltà a deglutire, dolori addominali, nausea, diarrea, sensazione di perdere il controllo degli sfinteri)
- urinario (bisogno impellente di urinare)
- nervoso (sbandamenti, vertigini, sensazione di instabilità, formicolii, tremori, ipersensibilità alla luce e ai suoni).
In un terzo dei casi alla paura si associano spaventose sensazioni di depersonalizzazione (“mi sento fuori dal mio corpo”) e/o di derealizzazione (“è come se non riconoscessi il posto dove mi trovo”, “è come se il tempo si fosse bloccato”).
Le manifestazioni fisiche si accompagnano alla certezza che stia per accadere qualcosa di tragico come morire, svenire, perdere il controllo, impazzire. La fase acuta raggiunge il picco di massima intensità entro 10 minuti, si risolve in circa 30 minuti ed è seguita da una fase post-critica caratterizzata da sintomi simili a quelli dell’influenza: spossatezza, sensazione di testa vuota e di confusione, dolori muscolari, sbandamenti, vertigini.
Chi prova queste sensazioni è terrorizzato, è convinto che stia per accadergli qualcosa di grave e cerca immediatamente aiuto recandosi al Pronto Soccorso o chiamando la Guardia Medica. Abitualmente il medico consultato riscontra solo una tachicardia o un modesto aumento della pressione arteriosa, per cui fa diagnosi di crisi d’ansia e prescrive un blando ansiolitico.
Il ripetersi di questi episodi, ma talvolta è sufficiente il primo, può avere un effetto devastante finendo con l’ingenerare insicurezza e condizionare pesantemente qualsiasi aspetto della vita, dal lavoro ai rapporti sociali e familiari, al tempo libero.
Il timore di avere un nuovo attacco di panico (la cosiddetta ansia anticipatoria o “paura della paura”) crea uno stato di continua apprensione che è di per sé fonte di grande sofferenza e si accompagna ad una serie di sintomi fisici simili a quelli del panico più leggeri ma più duraturi visto che possono persistere per ore o persino per l’intera giornata.
La paura di un nuovo episodio spinge ad evitare i luoghi in cui si è avuta la crisi, quelli con caratteristiche analoghe, e, più in generale, tutti i posti da cui è difficile allontanarsi o ricevere aiuto in caso di necessità (condotte di evitamento).
Pur variando da persona a persona le situazioni più evitate sono: rimanere in casa da soli, uscire da soli, usare i mezzi pubblici di trasporto, trovarsi in luoghi affollati o in zone in cui è difficile trovare una farmacia o un ospedale, guidare in autostrada.
Nel tentativo di aggirare l’insicurezza generata dal ripetersi degli episodi critici alcune persone cercano la compagnia continua di una figura protettiva, in genere un familiare o un amico, grazie al quale possono condurre una vita apparentemente normale ma da cui finiscono con il diventare dipendenti. A volte il ruolo protettivo è attribuito ad alcuni oggetti, come una confezione di ansiolitico, una bottiglia d’acqua o il telefono cellulare. Quest’ultimo è percepito come una vera e propria ancora di salvezza in quanto consente di chiedere aiuto ovunque ci si trovi.
Come evolve
Anche se non si seguono trattamenti specifici il disturbo di panico talvolta può risolversi spontaneamente (30% dei casi); nella maggior parte dei casi l’evoluzione è continua oppure caratterizzata dall’alternanza di fasi di miglioramento e peggioramento, ciascuna delle quali può durare anche anni.
Prima di rivolgersi ad uno psichiatra vengono in genere consultati diversi specialisti (cardiologi, otorinolaringoiatri, neurologi, gastroenterologi) ed eseguiti numerosi accertamenti diagnostici (elettrocardiogramma, radiografie, risonanza magnetica). Questa ricerca di una causa medica alle manifestazioni somatiche del panico può durare a lungo finendo con il ritardare l’inizio di un trattamento mirato e provocando un peggioramento della condizione clinica con aumento dell’ansia anticipatoria ed estensione delle condotte di evitamento.
Tutto questo consente al disturbo di esercitare il suo effetto devastante sulla personalità del soggetto, sui suoi rapporti familiari, lavorativi e sociali. La persona, prima del disturbo sicura di sé, attiva e autonoma, diventa insicura, timorosa, bloccata; si avvilisce; ha difficoltà a svolgere le normali attività della vita quotidiana.
Familiari ed amici, inizialmente comprensivi e disponibili ad offrire un appoggio, con il tempo si sentono “soffocati”, vedono fallire i propri sforzi, non capiscono come, in assenza di un disturbo fisico, non si riesca a passeggiare, a guidare, a rimanere da soli in casa.
Come si cura*
Prima di iniziare un trattamento è necessario chiarire a chi soffre di panico che:
- non è affetto da una malattia fisica (cardiaca, polmonare, neurologica, ecc…) ma da un disturbo psichico del quale si conoscono bene i sintomi e le possibili evoluzioni e per il quale sono disponibili trattamenti molto efficaci
- durante gli attacchi di panico non si corre un reale pericolo di morire, impazzire o perdere il controllo
- alcune piccole attenzioni possono facilitare il processo di guarigione: evitare l’uso di sostanze stimolanti (caffè, the o bevande contenenti caffeina) e di droghe anche leggere, mantenere uno stile di vita regolare, dormire un numero sufficiente di ore
- i farmaci anti-panico non sono “tossici”, non causano ”dipendenza”, non ”cambiano la personalità”;
- nei primi 7 – 14 giorni di cura si può verificare un apparente peggioramento dei sintomi. Questo fenomeno, dovuto in parte alla difficoltà a tollerare i comuni effetti collaterali, in parte ad una reale ipersensibilità ai farmaci, in genere si risolve spontaneamente e non giustifica di per sé l’interruzione del trattamento. È preferibile informare il proprio medico e decidere di comune accordo come comportarsi.
Oggi la terapia farmacologica più rapida ed efficace è costituita da alcuni antidepressivi (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, triciclici e inibitori delle monoaminossidasi), che sono in grado di bloccare gli attacchi di panico nel 70-80% dei casi, di migliorare l’ansia anticipatoria e le condotte di evitamento consentendo un significativo miglioramento del quadro sintomatologico e della qualità di vita.
Qualsiasi sia il farmaco prescritto il miglioramento segue un iter ben conosciuto: in media dopo 3-6 settimane si bloccano gli episodi di ansia acuta e successivamente si verifica una graduale riduzione delle condotte di evitamento e dell’ansia anticipatoria. Una volta ottenuta la remissione completa il farmaco dovrebbe essere assunto a dosi piene ancora per 8–12 mesi per essere poi diminuito lentamente e sospeso.
In caso di ricaduta si può seguire la stessa strategia terapeutica con ottime probabilità di successo. In presenza di più ricadute l’esperienza insegna che è preferibile proseguire l’assunzione del farmaco più a lungo, talvolta anche a tempo indeterminato, utilizzando la dose minima efficace che varia da persona a persona e che può essere anche molto bassa.
Un gruppo di farmaci molto utilizzato in passato nel disturbo di panico è quello delle benzodiazepine meglio conosciute come ansiolitici. Poiché sono rapidamente efficaci e ben tollerate sono molto amate da chi soffre di panico ma hanno un effetto puramente sintomatico.
Con il tempo gli ansiolitici possono causare abitudine (necessità di aumentare sempre più le dosi), dipendenza (difficoltà psicologica e fisica di sospenderle) e sintomi di astinenza tra un’assunzione e l’altra o in caso di sospensione.
Per queste ragioni oggi vengono prescritte nelle fasi iniziali del trattamento in associazione agli antidepressivi e poi sospese gradualmente quando questi ultimi cominciano il loro effetto.
Nelle forme lievi del disturbo, o ad integrazione della terapia farmacologica, è utilizzata la psicoterapia cognitivo comportamentale che, grazie a tecniche specifiche, migliora l’auto controllo dei sintomi fisici, aiuta a dare a questi un’interpretazione più realistica e meno catastrofica e fornisce delle strategie per affrontare gradualmente le situazioni temute.
Con la psicoterapia cognitiva è possibile inoltre superare alcune “convinzioni erronee” relative alla propria debolezza fisica, all’intollerabilità della solitudine, alla necessità di avere sempre accanto un “accompagnatore”, che talvolta sono presenti in chi soffre di panico.
Attualmente si ritiene che i farmaci agiscano direttamente sulla centralina d’allarme del cervello e, riportandola ad un regolare funzionamento, blocchino l’insorgenza di nuovi attacchi; la psicoterapia aiuterebbe invece a contenere i problemi indotti dal ripetersi degli attacchi di panico, come l’ansia anticipatoria, la riduzione dell’autonomia, la perdita di fiducia in se stessi, le difficoltà nei rapporti familiari, ecc.
Pertanto quando i farmaci, pur avendo bloccato le crisi di panico, non sono sufficienti per vincere completamente ansia anticipatoria e condotte di evitamento, oppure quando il protrarsi del disturbo causa difficoltà nei rapporti sociali, familiari e lavorativi e nella fiducia in se stessi, è sempre opportuno associare una psicoterapia cognitivo comportamentale.
Sono attualmente in corso studi per verificare se l’associazione di farmaci e psicoterapia consenta di ridurre il rischio di ricadute quando le cure vengono sospese.
Insieme alle terapie farmacologiche e/o psicologiche chi soffre di disturbo di panico può giovarsi di forme di sostegno come i Gruppi di Auto Aiuto.
*Le informazioni fornite hanno natura generale e sono pubblicate con finalità puramente divulgative. Per doverosa informazione, si ricorda che la visita effettuata dal proprio medico rappresenta l’unico modo per ricevere una diagnosi corretta e un trattamento efficace.