di Antonio Tundo
La schizofrenia è un disturbo caratterizzato da alterazioni nel modo di percepire, di pensare e di comportarsi che ha in genere un’evoluzione cronica e che, se non curata, tende ad aggravarsi nel tempo.
Quanto è frequente
Si stima che ne soffra circa l’1% della popolazione (in Italia quindi 600 mila persone) senza differenze tra uomini e donne. L’età di esordio nei primi è tra i 15 e i 25 anni, nelle seconde tra i 25 e i 35 anni. E’ raro che una persona sia ammali di schizofrenia una volta superati i 50 anni.
Come si manifesta
Il disturbo è caratterizzato da tre grandi gruppi di sintomi (“positivi”, “negativi” e “cognitivi”) preceduti da alcuni specifici segnali detti “prodromici”.
Sintomi “prodromici”
Mesi prima che il disturbo si manifesti in pieno compaiono dei segnali di allerta da non sottovalutare perché se si interviene subito ci sono buone possibilità di evitare l’evoluzione verso la patologia vera e propria e quindi la necessità di cure più complesse.
Si tratta di cambiamenti nello stile di vita e nel modo di reagire come perdita di interessi, riduzione del rendimento nello studio o sul lavoro, chiusura nei rapporti con gli altri, comportamenti strani, lamentele fisiche (“mi brucia il cervello”), episodi di rabbia o aggressività ingiustificati, scarsa cura dell’igiene e dell’aspetto, insonnia.
Questi segnali sono spesso considerati dalla persona e dai familiari come una “normale reazione” a un evento di vita spiacevole (la fine di un rapporto affettivo, un brutto voto a scuola, una discussione con gli amici) ma a una più attenta valutazione si dimostrano chiaramente sproporzionati per intensità e durata.
Sintomi “positivi”
I sintomi “positivi” sono i deliri e le allucinazioni. Si definisce delirio una convinzione chiaramente falsa che la persona continua a mantenere anche se gli si dimostra che è sbagliata. Le idee deliranti più comuni nella schizofrenia sono:
- di persecuzione (“sono seguito dalla mafia”, “hanno messo sotto controllo il mio cellulare”)
- di riferimento (“un passante fischiettava per strada per far capire a tutti che mia moglie mi tradisce”)
- mistiche (“ho ricevuto da Dio il compito di salvare l’umanità“)
- di influenzamento e controllo (“mi hanno messo un microchip con il quale condizionano i miei pensieri e i miei comportamenti”)
Possibili, ma più rare, sono le idee deliranti:
- di grandezza (“sono il più famoso cantante del mondo”)
- di rovina (“non ho neanche i soldi per pagare il biglietto dell’autobus”)
- ipocondriache (“anche se i medici mi assicurano del contrario, sono sicuro di avere un tumore al pancreas e che tra poco morirò”)
- nichilistici o di negazione (“il mondo non esiste”)
- di colpa (“dieci anni fa ho rubato un libro a un mio compagno e per questo sarò dannato per sempre”).
Altre convinzioni irrealistiche presenti nella schizofrenia sono:
- il furto del pensiero (“i vicini con un magnete captano i miei pensieri”)
- la trasmissione del pensiero (“quello che penso viene divulgato attraverso la radio”)
- la lettura del pensiero (“mi sento nudo: tutti sanno perfettamente quello che mi passa per la testa”)
Le allucinazioni consistono in un’alterazione nel modo di percepire le cose che possono interessare tutti e cinque gli organi di senso. Le allucinazioni più comuni sono le voci che la persona, ma non gli altri, sente e il cui contenuto a volte è rassicurante, più spesso offensivo o minaccioso. Le voci possono anche dare ordini, come fuggire, fare del male o farsi del male, a cui la persona a volte, per fortuna di rado, ubbidisce.
Altre forme di allucinazioni consistono nel vedere oggetti o persone (per esempio, l’immagine della Madonna o del demonio) che gli altri non vedono, sentire degli odori (per esempio, un intenso profumo di rose) o dei sapori (per esempio di cibo putrefatto) che nessun altro sente o percepire una sensazione fisica (per esempio, essere toccati o punti) senza che ci sia nessuno vicino.
Sintomi “negativi”
I sintomi negativi sono manifestazioni meno eclatanti rispetto ai sintomi positivi, ma non meno gravi e invalidanti.
La persona diventa apatica, perde gli interessi, rimane indifferente di fronte a tutto ciò che accade, manca di volontà, non riesce a portare avanti neanche progetti o compiti molto semplici, non è interessata a stare con gli altri, non cura la propria igiene finendo con il vivere chiuso in un proprio mondo senza sentire il desiderio di uscirne.
Sintomi “cognitivi”
La persona che soffre di schizofrenia non riesce a collegare i propri pensieri in modo logico con il risultato di fare discorsi strani e incomprensibili per chi lo ascolta; a volte si blocca mentre parla senza riuscire a dare una spiegazione del perché. Fa inoltre fatica a concentrarsi, a ricordare, a capire quello che gli viene detto e utilizzarlo per prendere delle decisioni.
La presenza di sintomi negativi è spesso motivo di stress per la persona ma, soprattutto, rende difficile portare avanti una vita normale e svolgere un lavoro.
Come evolve
Se non curata, nella maggior parte dei casi la schizofrenia ha un’evoluzione ricorrente con alternanza di periodi in cui i sintomi sono molto intensi e periodi in cui si riducono o scompaiono del tutto. Con il ripetersi degli episodi l’intensità dei sintomi “positivi” (deliri e allucinazioni) si attenua mentre diventano via via più evidenti quelli “negativi” (apatia, distacco emotivo, chiusura sociale).
Più raramente il disturbo consiste in un unico episodio che può o lentamente risolversi oppure cronicizzarsi.
La schizofrenia ha un pesante impatto sulla vita di chi ne soffre e dei suoi familiari perché rende difficile la prosecuzione degli studi o il mantenimento del lavoro con conseguenti difficoltà economiche e di integrazione nella società.
L’evoluzione è spesso peggiorata dal fatto che la persona non pensa di stare male per cui rifiuta le cure o le interrompe appena possibile aumentando così il numero di ricadute e di ricoveri.
La più grave complicanza del disturbo è il suicidio (10-15% dei casi), a volte conseguenza del sovrapporsi di una depressione, altre volte in obbedienza alle voci che incitano la persona ad uccidersi.
Al contrario di quanto comunemente ritenuto, chi soffre di schizofrenia non ha un rischio maggiore degli altri di essere aggressivo anche se quando succede i gesti violenti sono messi in atto in modo strano e imprevedibile sotto la spinta di un pensiero delirante (“dovevo difendermi da un sicario che voleva uccidermi”) o di un’allucinazione (“la voce mi ha ordinato di aggredirlo”).
Complesso è il rapporto tra schizofrenia e abuso di alcool (30-50% dei casi) o sostanze (15-25% dei casi) che da una parte possono essere usate dalla persona per placare l’ansia e la sensazione di tensione interna (“auto-terapia”), dall’altra aggravano la patologia, aumentano l’irritabilità, l’aggressività e i sintomi positivi e riducono la risposta alle cure.
Ancora più spinoso è il problema dell’uso di cannabis, ormai ampiamente diffuso tra giovani e giovanissimi, che può anticipare la comparsa della schizofrenia e renderne i sintomi più gravi e meno sensibili alle cure.
Come si cura*
L’introduzione di terapie efficaci ha notevolmente migliorato l’evoluzione della schizofrenia per quanto riguarda la gravità dei sintomi, il rischio di ricadute, il funzionamento in famiglia e nei rapporti sociali e il recupero della capacità di studiare o di lavorare.
I farmaci sono l’elemento indispensabile della cura da integrare, in base alla fase del disturbo, alla sua durata e alle conseguenze che ha provocato, con un intervento psicoteraputico, psicosociale e/o riabilitativo.
I farmaci di prima scelta sono gli antipsicotici di prima e di seconda generazione (questi ultimi oggi di gran lunga i più utilizzati) che hanno tutti in comune la capacità di bloccare l’azione di un neurotrasmettitore (la dopamina) e di ripristinare quindi la normale attività di una specifica zona del cervello (“area mesolimbica”) il cui funzionamento in eccesso sarebbe la causa dei “sintomi positivi” (deliri e allucinazioni), dell’agitazione e dell’insonnia.
Il trattamento farmacologico si articola in tre fasi: acuta, di consolidamento e di mantenimento.
La fase acuta ha lo scopo di eliminare i sintomi più eclatanti (deliri, allucinazioni, agitazione, insonnia) e si effettua sotto stretto monitoraggio medico per valutare l’efficacia e la tollerabilità della terapia e, in base a queste, adattare le dosi.
L’inizio della cura è spesso complicato perché il disturbo in fase attiva causa la perdita di contatto con la realtà e, di conseguenza, della consapevolezza di stare male e di avere bisogno di cure e talvolta può rendersi necessario un ricovero eventualmente anche contro la volontà della persona.
In fase acuta gli antipsicotici sono spesso integrati con un ansiolitico (per l’ansia e l’insonnia) e/o con un antiepilettico (per l’agitazione e per contenere eventuali oscillazioni dell’umore). I primi segnali di miglioramento si osservano dopo 2-3 settimane e la risposta piena entro 6-8 settimane. Se dopo un periodo di cura sufficientemente lungo e con dosi di farmaco adeguate non si ottiene ancora una risposta soddisfacente si cambia tipo di antipsicotico. Nei casi in cui dopo più tentativi con diversi farmaci la sintomatologia psicotica persiste (“forme resistenti”) si utilizza la clozapina. Si tratta del farmaco con la maggiore potenza antipsicotica oggi disponibile che viene però riservato alle forme più gravi o resistenti perché provoca nell’1-2% dei casi una riduzione dei globuli bianchi potenzialmente pericolosa e pertanto richiede il controllo, settimanale per le prime 18 settimane e poi mensile, dell’emocromo.
La fase di consolidamento serve a stabilizzare i risultati ottenuti e consiste nel proseguimento per almeno 6 mesi della terapia prescritta in fase acuta, adattando, se necessario, le dosi in caso di comparsa di effetti collaterali o sedazione.
Per favorire la ripresa del lavoro (o dello studio) e dei rapporti sociali e per migliorare la qualità di vita, in questa fase i farmaci sono affiancati da un percorso personalizzato di tipo psicologico-riabilitativo. Questo include uno o più dei seguenti interventi:
- terapia cognitiva (per contenere l’impatto di eventuali deliri o allucinazioni residui)
- tecniche di miglioramento delle abilità sociali (per migliorare le capacità di comunicare e interagire con gli altri)
- strategie di riabilitazione per superare le difficoltà di attenzione, memoria e nello svolgimento di compiti (cognitive remediation)
- strategie di riabilitazione per imparare a convivere con lo stress e proteggersi dalle sue conseguenze (vulnerability stress copying competence)
Spesso è necessario fornire anche un sostegno ai familiari per aiutarli a conoscere bene la natura e la gravità del disturbo e le cure necessarie, per migliorare la comunicazione e la cooperazione all’interno della famiglia, e per modificare il clima emotivo negativo (sentimenti di colpa, rabbia o angoscia) che spesso si crea.
La fase di mantenimento ha lo scopo di prevenire le ricadute e prevede una graduale riduzione della terapia farmacologica fino a trovare la dose minima efficace, molto variabile da persona a persona, mantenendo tuttavia regolari controlli specialistici per adeguare prontamente la cura in caso di segnali di ricaduta.
La durata del trattamento farmacologico varia da 2 anni (primo episodio non grave) a 5 anni (forme con poche ricadute di lieve-moderata gravità) e oltre (ricadute numerose e/o gravi).
* Le informazioni fornite hanno natura generale e sono pubblicate con finalità puramente divulgative. Per doverosa informazione, si ricorda che la visita effettuata dal proprio medico rappresenta l’unico modo per ricevere una diagnosi corretta e un trattamento efficace.