La consapevolezza alimentare passa anche attraverso colori, profumi, consistenze, suoni. C’è tanto da scoprire ogni volta che ci avviciniamo al cibo.
Cosa guida il nostro comportamento alimentare? Siamo davvero presenti quando mangiamo o lasciamo che il “pilota automatico” guidi le nostre scelte, abitudini e modalità di rapportarci con il cibo? La risposta più frequente è che spesso siamo così distratti da saper raccontare poco di quello che mangiamo e di come mangiamo. Una questione quindi di consapevolezza alimentare.
Il risultato è che perdiamo parte della ricchezza sensoriale derivante da un incontro consapevole con il cibo e non ci accorgiamo di quanti fattori influenzino il nostro comportamento alimentare.
Un esempio è il pensiero, piuttosto diffuso, che l’esperienza con il cibo coinvolga due sensi: il gusto e l’olfatto. I sapori e gli odori sono quasi sempre i protagonisti principali dei racconti su ciò che ci allontana o ci avvicina ad un alimento.
Ma facciamo mai attenzione al ruolo che giocano gli altri sensi? Sappiamo quanto conti la consistenza? Amiamo più la morbidezza o il croccante? Scegliamo più volentieri un cibo che produca un suono o uno che possa essere mangiato silenziosamente? O ancora, ci attira di più un’insalata verde o una mista con verdure colorate?
Riccardo Falcinelli nel suo libro “Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo” racconta con precisione l’esperienza sensoriale di mangiare un diplomatico.
Qualche tempo fa mi trovavo in pasticceria e, un po’ per fare conversazione un po’ per curiosità, ho chiesto alla proprietaria se ci fosse un dolce che vende più di altri. Così lei ha cominciato a raccontarmi che oggi non si compra più il vassoio da dodici paste ma da sei; che la diminuzione degli acquisti è proporzionale al calo di chi va messa la domenica; che il rum nel Babà ha un significato festoso che ai più giovani ormai sfugge. Ha concluso decretando che la regina delle paste rimane il diplomatico, ossia il trancetto di liquoroso pan di Spagna con pasta sfoglia e crema pasticciera: un dolce epico, perché la sua struttura complessa è sentita da tutte le generazioni come il simbolo di un’epoca passata.
Il diplomatico è, anche per le nonne, la pasta delle nonne.
Se proviamo a ragionarci, ci accorgiamo che la complessità di cui parla la pasticciera ha a che vedere non tanto con la ricetta in sé ma con il modo in cui viene gustata. Quando si morde il diplomatico, lo zucchero a velo che lo ricopre vola sul palato. Si sente poi sui denti il croccante della sfoglia e questa, una volta spezzata, rivela l’umido del ripieno da cui, masticando, cola il liquore fin sotto la lingua. È un dolce che per esprimere se stesso ha bisogno di un preciso lasso di tempo. Da quando lo addentiamo a quando viene deglutito produce effetti e sensazioni molteplici: il secco e l’umido, il dolce e liquoroso. Non ha insomma un gusto unico, ma più sapori articolati che persistono e cambiano, anche dopo che lo abbiamo mandato giù.
Che sia un dolce fuori moda dipende forse da questo sottrarsi alla velocità. Un’esperienza diversa rispetto alla Nutella che, come quasi ogni dolce industriale, ha un gusto concorde per tutto il tempo che la teniamo in bocca. L’opposizione tra i due è di certo quella tra un prodotto di lusso e uno economico; tra tradizione artigiana e serialità contemporanea; ma è innanzitutto il contrasto tra due mentalità ritmicamente dissimili: il passo lento dell’uno e l’immediatezza dell’altra.
Non si tratta però di stabilire graduatorie. Omogeneo e disomogeneo, rapido e disteso, sono modi diversi di pensare la materia, ciascuno con le sue piacevolezze. È però indubbio che, in molti ambiti dell’invenzione, è la velocità la cifra dei nostri tempi. Nell’arte e nel design i linguaggi che riscuotono maggior successo sono proprio quelli che si colgono in un baleno, “ a colpo d’occhio”, come si usa dire.
Insomma potremmo concludere che, se il diplomatico è una sinfonia, la Nutella è un jingle. E spostando la metafora sul piano cromatico: se il diplomatico è un colore articolato e cangiante, allora la Nutella è un esempio di tinta unita.
Le parole che ho incontrato nel libro di Riccardo Falcinelli dedicato ai colori (leggetelo, è bellissimo) hanno avuto su di me l’effetto di un rinnovato invito ad avvicinarmi al cibo aprendo tutte le porte sensoriali e ha aggiunto nuovi punti di vista. Cosa mi attrae? Il passo lento o l’immediatezza, l’omogeneità o la disomogeneità, il cibo sinfonia come un diplomatico o un jingle come la Nutella?
Sono certa che le risposte mi riveleranno molto sulle mie preferenze alimentari e scoprirò nuovi persuasori occulti.
Il brano riportato è tratto da “Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo” di Riccardo Falcinelli (2017).
L’editore è Einaudi che ringraziamo per averci autorizzato a riportarlo in questo blog.