Il disturbo bipolare può presentarsi in varie forme, saperle distinguere permette di personalizzare la cura ed ottenere risultati migliori
Gli specialisti che si occupano di disturbi bipolari, come pure coloro che ne soffrono e i loro familiari, sanno bene quanto sia difficile curare le fasi acute, soprattutto quelle depressive, e prevenire le ricadute e sanno anche bene che i risultati sono spesso imprevedibili per cui la stessa terapia può essere risolutiva in alcune persone e inefficace in altre.
Dopo quasi trent’anni di ultra-specializzazione nella diagnosi e cura dei disturbi bipolari sono giunto alla conclusione che queste difficoltà, e in particolare l’imprevedibilità della reazione ai farmaci, siano in gran parte conseguenza dell’idea che la bipolarità rappresenti una patologia unitaria e che le cure debbano essere di conseguenza uguali in tutti i casi.
I diversi volti del Disturbo Bipolare
L’idea che il Disturbo Bipolare costituisca una patologia unitaria nasce oltre cento anni fa e deriva dagli studi condotti da Emil Kraepelin, uno psichiatra tedesco da tutti giustamente considerato il massimo studioso della malattia maniaco-depressiva, come un tempo si chiamavano i disturbi bipolari.
In questi ultimi anni alcuni clinici-ricercatori, e il gruppo dell’Istituto di Psicopatologia tra questi, hanno dimostrato che in realtà è possibile identificare diversi sottotipi di disturbi bipolari ognuno dei quali si manifesta con sintomi differenti, evolve in modo differente, risponde alle cure in modo differente.
In altri termini non esiste “un” disturbo bipolare, ma “i” disturbi bipolari.
La capacità del clinico di individuare con precisione in quale sottotipo si colloca la patologia di chi lo consulta è fondamentale per mettere a punto una cura personalizzata e fare una previsione sulle probabilità e sui tempi di risposta.
Per chiarire meglio il concetto farò alcuni esempi. Ultimamente in un nostro studio abbiamo dimostrato che, contrariamente a quanto comunemente ritenuto, gli antidepressivi sono efficaci e sicuri per trattare la maggior parte delle depressioni bipolari: l’importante è sapere bene quando prescriverli e quando è invece necessario un trattamento alternativo, come gli antipsicotici atipici.
La Ciclicità Continua, un sottotipo che richiede un’attenzione particolare
Alcune ricerche originali del nostro gruppo, pubblicate nel 2013, 2015, 2017 e 2018 hanno evidenziato che un particolare sottotipo di disturbo bipolare (tecnicamente denominato con decorso “ciclico continuo”) risponde meno bene e comunque più lentamente sia agli antidepressivi in fase di depressione acuta, sia agli stabilizzatori per prevenire le ricadute.
Chi rientra in questo sottotipo (circa il 30% dei casi) non deve cercare un risultato immediato, che non otterrà o se ottenuto sarà di breve durata, ma puntare ad una stabilità sul lungo periodo che si può raggiungere mantenendo uno stretto monitoraggio delle oscillazioni dell’umore adattando la cura al variare di quest’ultimo.
Identificare il sottotipo per migliorare la cura
Questi recentissimi dati vanno ad aggiungersi a quelli in precedenza evidenziati da altri gruppi di ricerca che dimostravano come l’evoluzione del disturbo (durata degli episodi, frequenza delle ricadute) e la sensibilità ad alcune piuttosto che ad altre terapie sono condizionate dalla polarità di esordio, cioè dal tipo di episodio con cui inizia il disturbo (depressione, mania, ipomania o stato misto?), dal sottotipo di disturbo bipolare (bipolare I o II?) dal tipo di ciclo, cioè dal modo con cui gli episodi si susseguono (prima la depressione e poi la mania o ipomania o viceversa?) e dalla presenza o meno di sintomi di agitazione durante la fase depressiva.
Lasciando agli specialisti i tecnicismi, qui mi preme sottolineare che alla luce degli studi più recenti, compresi quelli condotti presso l’Istituto di Psicopatologia, la diagnosi di disturbo bipolare è da considerarsi generica e necessita di volta in volta di una più precisa sotto-tipizzazione. Individuare con precisione il sottotipo permette di personalizzare le cure, migliorare sostanzialmente la risposta e, di conseguenza, ridurre la sofferenza e migliorare la qualità di vita sia di chi sta male, sia di chi gli sta vicino.