Avere un bambino quando si soffre di un disturbo psichiatrico che necessita di cure a lungo termine è un cammino abbastanza complesso ma non impossibile.
“Dottore, ho capito che per non ricadere devo continuare ad assumere i farmaci ancora per qualche anno… però vorrei avere un figlio e non posso aspettare tanto perchè ho già 32 anni. Possibile che non ci sia una soluzione e che sia costretta a scegliere tra stare bene o diventare mamma?”.
Ogni giorno migliaia di donne affette da disturbi dell’umore o d’ansia, patologie che colpiscono donne in età fertile e che possono richiedere trattamenti a lungo termine, rivolgono con angoscia questa domanda al proprio psichiatra. E fino a poco tempo fa ricevevano invariabilmente questa risposta:
“Purtroppo non c’è soluzione, se si continuano i farmaci durante la gravidanza il bambino può nascere con malformazioni, se si sospendono può verificarsi una ricaduta”.
Oggi uno psichiatra aggiornato e attento alla qualità della vita e ai bisogni dei propri pazienti, come accade anche in altre branche della medicina, deve analizzare con attenzione il problema soppesando, caso per caso, tutti i fattori di rischio.
Cosa comporta assumere un farmaco in gravidanza?
L’esposizione ai farmaci durante la gravidanza comporta per il feto tre differenti ordini di problemi:
- Teratogenicità: malformazioni congenite conseguenti all’assunzione di farmaci durante il primo trimestre. L’entità di questo rischio deve essere valutato tenendo presente che, nelle donne che non assumono farmaci, l’incidenza di malformazioni congenite nel feto è stimata intorno al 2-2.5%.
- Sindrome perinatale: l’uso di dosi eccessive di farmaci in prossimità del parto può provocare nel bambino appena nato ipotonia, letargia, cianosi. E’ inoltre possibile la comparsa di una sindrome di astinenza, caratterizzata da tremori, irrequietezza, pianto continuo, tachicardia, dovuta alla brusca sospensione del farmaco che, al momento della nascita, non viene più veicolato attraverso il sangue materno.
- Conseguenze a lungo termine: entro i 4-5 anni di età il bambino che, durante la gravidanza, è stato esposto a farmaci potrebbe manifestare difficoltà nell’apprendimento, nel comportamento e nello sviluppo del linguaggio
Per ciascuna classe di farmaci e, all’interno di queste, per ciascun prodotto, esiste un differente indice di rischio per cui il medico, considerata attentamente la situazione, può fornire alla paziente e al futuro padre le informazioni che consentano loro la migliore scelta.
Cosa fare?
Se la donna che desidera avere un figlio è affetta da depressione ricorrente o da disturbi d’ansia (disturbo di panico, disturbo ossessivo compulsivo) è necessario considerare la gravità del caso.
Se si tratta di una patologia di lieve-media entità è opportuno programmare la gravidanza procedendo, prima, ad una graduale sospensione della terapia farmacologica (la gradualità consente di evitare le ricadute da sospensione brusca dei farmaci) e continuando, poi, il monitoraggio delle condizioni cliniche per cogliere i primi segni di un’eventuale recidiva e, se necessario, intervenire prontamente.
Nelle forme di moderata o grave entità è prioritario approfondire i vantaggi e gli svantaggi dell’interruzione della terapia farmacologica e, qualora si ritengano i primi maggiori dei secondi, si valuterà quale degli antidepressivi indicati nello specifico disturbo è gravato di minore effetto teratogeno.
Sia per alcuni triciclici, sia per gli inibitori selettivi della serotonina (SSRI) è stato evidenziato un buon margine di sicurezza: il rischio di causare malformazioni congenite è, infatti, pressocchè sovrapponibile a quello delle donne che in gravidanza non assumono farmaci.
Alcuni antidepressivi di più recente introduzione (venlafaxina, mirtazapina, trazodone) vanno evitati perchè non sono disponibili dati sufficienti.
Gli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) sono controindicati proprio per una maggiore incidenza di malformazioni.
L’uso di benzodiazepine è associato, nel primo trimestre di gravidanza, ad un aumentato rischio di malformazioni congenite, nel terzo trimestre ad una sindrome d’astinenza.
Nell’ultimo mese di gravidanza è indispensabile la graduale riduzione di qualunque terapia farmacologica fino alla totale sospensione 10-15 giorni prima del parto per evitare una possibile sindrome perinatale.
Per quanto riguarda le conseguenze a lungo termine, un recente studio ha segnalato che sia i triciclici, sia gli SSRI non dovrebbero provocare danni nello sviluppo del bambino, mentre non esistono dati suffficienti per la valutazione degli effetti conseguenti all’uso di benzodiazepine.
Più complessa è la decisione se la donna soffre di un disturbo bipolare. Sappiamo, infatti, quanto importante sia in questa condizione il mantenimento di una terapia preventiva con sali di litio e/o antiepilettici, ma entrambe queste classi di farmaci sono controindicate nel primo trimestre di gravidanza in quanto possono provocare malformazioni congenite: anomalie cardiache nello 0.1% dei casi per il litio, spina bifida o anomalie scheletriche nell’1-5% dei casi per l’acido valproico, spina bifida o difetti cranio-facciali nello 0.5-1% dei casi per la carbamazepina.
Una particolare gravità degli episodi precedenti e un elevato rischio di ricadute può consigliare la prosecuzione di un trattamento stabilizzante anche durante la gravidanza, pur sapendo che c’è un rischio di teratogenicità. In questo caso andrebbero preferiti i sali di litio agli antiepilettici in quanto meno dannosi per il feto. Se, tuttavia, fosse necessaria l’assunzione di antiepilettici, questi dovrebbero essere usati a basse dosi e in associazione con acido folico che sembra ridurre la possibile insorgenza di malformazioni.
Nelle pazienti che hanno manifestato gravi sintomi psicotici e che assumono neurolettici come mantenimento, se non è possibile procedere alla sospensione è preferibile prescrivere i prodotti classici (p. es. aloperidolo) che avrebbero un rischio di malformazioni solo di poco superiore al fisiologico 2-2.5% delle donne che non sono in trattamento, mentre per gli antipsicotici di nuova generazione non si hanno ancora dati sufficienti, anche se i primi risultati sembrano propendere per la sicurezza del trattamento.
Se la donna soffre di un disturbo bipolare ed è stabile da anni, di fronte ad un desiderio di gravidanza si può procedere ad una lentissima riduzione della terapia fino alla sospensione; è opportuno monitorare le condizioni psicopatologiche della paziente per l’intera durata della gravidanza e, soprattutto, nel post-parto per intervenire in caso di ricadute.
Se la paziente è in una condizione di stabilità dell’ umore da meno di due anni ed è abbastanza giovane, è consigliabile attendere un periodo di equilibrio più lungo prima di iniziare a sospendere le cure.
Se, invece, l’età non consente di aspettare oltre sarà la donna, insieme al futuro padre, a decidere se proseguire o meno la terapia, valutando vantaggi e svantaggi che possono derivare, per sè e per il feto, da ciascuna delle due possibilità. Qualsiasi sia la decisione presa, anche in questo caso è importante il monitoraggio dello stato della paziente durante tutta la gravidanza.
E dopo il parto?
In tutti i casi, subito dopo il parto, si pone un nuovo quesito: “Dottore, potrò allattare il mio bambino?”.
Di nuovo il medico deve ascoltare, capire, valutare la situazione, consigliare. Sa benissimo che l’allattamento è fondamentale per il neonato, lo protegge da malattie infettive, facilita l’assorbimento delle sostanze nutritive e sembra connesso al raggiungimento di un miglior livello intellettivo del bambino. Ma sa anche molto bene che il post-partum è un momento delicatissimo per le donne che soffrono di disturbi psichiatrici perchè comporta un alto rischio di ricadute ed un nuovo episodio in questa delicata fase della vita può avere conseguenze devastanti tanto per la puerpera e il bambino, quanto per il resto della famiglia.
Ancora una volta la scelta spetterà ai genitori dopo aver ricevuto le informazioni più complete possibili su quale sia, nel caso specifico, la probabilità di comparsa di un nuovo episodio e su quali siano i vantaggi e gli svantaggi dell’allattamento al seno in concomitanza con l’assunzione di farmaci rispetto all’allattamento artificiale.
Avere un bambino quando si soffre di un disturbo psichiatrico che necessita di cure a lungo termine costituisce un cammino abbastanza complesso ma non impossibile. E’ importante che si stabilisca una collaborazione tra psichiatra, ginecologo e genetista per aiutare la futura madre a decidere consapevolmente se intraprendere o meno una gravidanza, se continuare o meno i farmaci, se è utile ricorrere temporaneamente ad approcci terapeutici alternativi ai farmaci, come la psicoterapia cognitivo comportamentale, o a forme di sostegno emotivo-sociale, come i gruppi di Auto-Aiuto.
Chi fosse interessato può gratuitamente ricevere informazioni preliminari, scientificamente corrette, circa l’uso di specifici farmaci durante la gravidanza e l’allattamento contattando telefonicamente il numero verde 800 88 33 00 del Centro Tossicologia di Bergamo oppure può consultare il sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)