“Da quando ha finito il liceo mio figlio combina poco, dorme di giorno e vive di notte..”

Anita Parena, Roberta Necci, Marinella Daniele, 15/11/2014

Fine delle scuole superiori, un delicato passaggio di vita per ragazzi e genitori da vivere con attenzione.

Ci capita spesso di ascoltare le lamentele e le preoccupazioni dei genitori per gli atteggiamenti assunti dai propri figli una volta finita la scuola media superiore.

“Non ha mai avuto le idee chiare su cosa avrebbe voluto fare da grande. Io e mio marito siamo laureati e abbiamo sempre dato per scontato che avrebbe continuato a studiare, ma a quale facoltà iscriversi? E per fare cosa?
E’ vero che ne avevamo già parlato tante volte senza arrivare a una conclusione, ma, a causa di questi benedetti test di ammissione, appena superato l’esame di maturità è stato necessario decidere rapidamente.
E’ stato così che si è iscritto a scienze della comunicazione, secondo me più per seguire il suo migliore amico che per una vera convinzione. E infatti, dopo qualche mese è cominciato il calvario: va a lezione un giorno si e cento no, studia qualche ora di tanto in tanto, sbuffa,  dice di essere annoiato e passa molto tempo ciondolando per casa o sbattendosi dal letto al divano.
Non sappiamo più cosa fare né come aiutarlo”.

E’ innegabile che per molti ragazzi la fine del liceo rappresenti un momento difficile perché devono prendere decisioni importanti, che condizioneranno il resto della loro vita, senza avere un’adeguata consapevolezza delle proprie capacità e talenti naturali.
Se a questo si aggiunge che il tempo intercorrente tra la fine degli esami di maturità e le prove per la selezione è strettissimo, non meraviglia che tante volte il corso di studi da seguire viene scelto a caso oppure sotto l’influenza delle mode o dalle decisioni degli amici o  delle sollecitazioni dei familiari (“Mio figlio ha preso giurisprudenza…… non era molto convinto ma sarebbe un peccato non sfruttare il fatto che il mio studio legale è così ben avviato”,  “L’unico campo in cui ho delle conoscenze è architettura….anche se non gli piace molto in seguito apprezzerà di avere qualche spinta”).
Ma, stando così le cose, non dovrebbe meravigliare se, dopo qualche  mese, scatta il malumore, l’insoddisfazione, il senso di inadeguatezza, l’incapacità di prendere una decisione (Cambio facoltà o mi sforzo e vado avanti? E se smettessi del tutto di studiare e mi cercassi un lavoro?) e il ragazzo piano piano acquisisce uno stile di vita del tutto irregolare: si alza tardi al mattino, fa colazione all’ora di pranzo, esce molto tardi la sera per rientrare quasi all’alba. Tale situazione genera nei genitori un’ansia che facilmente li porta ad immaginare scenari catastrofici “Avrò un figlio nullafacente a vita…un parassita”,  “Come pensa di costruirsi un futuro?”, “Come pensa di mantenersi?”.

Le reazioni possono essere molto diverse e passano dal denigrare e colpevolizzare “ Io alla tua età avevo già fatto…”,, all’imposizione autoritaria “Scegli quello che vuoi ma non ti mettere in testa di smettere di studiare….. oggi senza uno straccio di laurea non sei nessuno.” “Visto che non lo sai fare tu ora decido io come passerai la giornata”, al ricatto morale “Se non farai l’avvocato per tuo padre sarà un grande dispiacere”.

È molto utile riuscire a distinguere le aspettative dalla realtà e chiedersi quanto è diverso il proprio figlio rispetto a come immaginato o quanto le aspettative condizionano il giudizio. Provare ad osservare i propri figli con “gli occhi del cameramen”, oppure come se si osservasse un suo amico, può dare il necessario distacco emotivo per vedere aspetti che l’amore genitoriale può trasformare e fraintendere.
Infine in un momento così critico è meglio non farsi trascinare dai pensieri catastrofici e tentare di tenere a bada l’ansia. Se sentite che è troppo difficile non esitate a chiedere un sostegno psicologico che vi aiuterà a mantenere saldo il legame con la realtà.
Questo permetterà da un lato di sorvegliare ed intervenire perché  un iniziale e comprensibile momento di incertezza non si trasformi in uno stile di vita, dall’altro vi aiuterà a capire che non si tratti dell’esordio di un disagio psicologico più serio.
Sappiamo infatti che il passaggio dall’adolescenza all’età adulta è un momento di grandi cambiamenti a livello cerebrale e ormonale e che queste variazioni possono favorire l’emergere di disturbi emotivi.

Cosa si può fare
A nostro avviso, e come spesso ricordiamo, il primo passo da compiere è cercare di cambiare la prospettiva da cui si vede il problema e mettersi nei panni del proprio figlio. A questo scopo può essere di aiuto ripercorrere la propria esperienza “Come stavo quando ero nella sua condizione? Da cosa sono state dettate le mie scelte? Chi e cosa mi hanno aiutato? Qualcuno o qualcosa mi hanno influenzato?” oppure immaginare come sarà la propria vita di fronte ad un drastico cambiamento come, per esempio, andare in pensione.

La vita quotidiana offre mille spunti per capire cosa appassiona di più i ragazzi, per cosa sono naturalmente portati, cosa non gli piace affatto, cosa li incuriosisce. Ogni occasione è un’opportunità per capire meglio chi è il proprio figlio. Ascoltarlo con attenzione e rispetto è l’unica strada per conquistare la sua fiducia e fargli sentire che sarete per lui un riferimento comunque e in qualsiasi momento di difficoltà.

Alcuni spunti di riflessione possono venire dalla lettura del libro di Beppe Severgnini, noto giornalista del Corriere della Sera ed autore di molti saggi, “Italiani di domani” in cui, tra l’altro, scrive una frase che ci ha particolarmente colpite: “Deve studiare chi sa farlo e ha voglia di farlo. Le università sono laboratori per il cervello e non parcheggi per natiche stanche”.
Tenendo conto di questa considerazione, qualsiasi attività costruttiva e strategia che porti ad evitare il “ciondolamento” e lo “sbattimento” dovrebbe essere ben accolta. Qualsiasi lavoro, anche se delude la speranza che il proprio figlio diventi un brillante avvocato,  rimane comunque un’esperienza di vita che aiuterà un giovane a crescere.

Cosa è meglio evitare
In presenza di insuccessi, anche se previsti, è opportuno evitare di sottolinearli continuamente come pure fornire suggerimenti non richiesti o imporre soluzioni “Ecco di nuovo…lo sapevo che sarebbe finita male..”, “Se tu avessi fatto come ti dicevo le cose sarebbero andate meglio….ma si sa quello che dico io è sempre sbagliato!” : i ragazzi hanno bisogno di spunti costruttivi ed è quindi bene mettere in evidenza, attraverso esperienze proprie o di altri, possibili strategie di uscita.
I toni sarcastici o denigratori spesso hanno come unica conseguenza quella di peggiorare il comportamento di chiusura da parte dei ragazzi che si sentiranno incompresi, inadeguati e frustrati.

Autore: Roberta Necci