Quando la demenza entra nella nostra vita. Un libro racconta come affrontarla.
Superati i cinquanta anni capita spesso, se dimentichiamo il cellulare, le chiavi di casa, un impegno o non ci sovviene il nome di un conoscente, di chiederci “Ma non mi starà venendo l’Alzheimer?”.
Da un lato come istruttrice di mindfulness so quanto la disattenzione, i comportamenti automatici, il sovraccarico delle nostre giornate giochino un ruolo importante in queste “dimenticanze”, dall’altro è indubbio che l’allungamento della vita media aumenti la probabilità di trovarsi a fronteggiare una riduzione della memoria e le conseguenze ad essa collegate.
Gli studi sul declino delle cosiddette “capacità cognitive” (memoria, attenzione, concentrazione ecc.) legato alle patologie dell’invecchiamento sono molti ma al momento non sono ancora completamente chiare le sue cause né ci sono trattamenti risolutivi. Buona parte di ciò che si può fare riguarda la gestione di una quotidianità complessa e impegnativa sia per chi soffre sia per i suoi familiari.
Proprio ciò che ruota intorno alla dolorosa quotidianità della demenza è il tema di “Il giorno in cui mia madre non riuscì più a trovare la cucina” di Jörn Klare, giornalista tedesco che racconta la storia di sua madre settantenne, affetta da demenza.
Un’interessante testimonianza, e un toccante racconto, che a partire dalla scoperta della diagnosi, non si limita all’esperienza personale ma offre i punti di vista delle figure che ruotano intorno a questa condizione. Un panorama ampio che include lo psichiatra, il geriatra, l’assistente sociale, l’infermiere, lo psicologo, il teologo, il sociologo, il filosofo, il giurista.
Così l’autore racconta il passaggio dai primi segnali alla certezza della diagnosi:
“Qualche appuntamento dimenticato, lo scambio dei giorni della settimana, i PIN scordati, una borsetta smarrita, nel frigorifero sempre più spesso alimenti scaduti da tempo, l’astuccio degli occhiali che spariva regolarmente per giorni e a un certo punto è scomparso per sempre. E’ cominciata così. Sono passati tre anni ormai.
Durante una cena ho dovuto prendere coscienza del dramma di mia madre. Dopo la cena che aveva preparato con le sue stessi mani, prese un piatto, si alzò fece un paio di passi e si smarrì. Non trovava più la sua cucina. Cinque metri e due porte. Un percorso che aveva fatto migliaia di volte.
Quella notte ha comunque portato anche qualcosa di buono: è stato evidente a tutti.
La barriera di silenzio, orgoglio e quieto vivere era stata spezzata.”
Il libro alterna capitoli in cui l’autore racconta la propria storia a quelli in cui passa al testimone alle altre voci.
Lo psichiatra che contiene l’angosciante domanda dell’autore “Come muore una persona che soffre di demenza?” e offre risposte dolorose ma semplici.
L’infermiere che suggerisce di ”Concentrarci più sull’avere cura. La società valuta tutto quello che è possibile, la cura ha a che fare con l’accompagnamento e il sostegno di fronte a ciò che è irrevocabile.
L’assistente sociale che sposta lo sguardo ad aspetti non solo medici per evitare che “il paziente, per quanto demente sia, venga visto unicamente come oggetto da curare”
Lo psicologo che alla domanda “Come posso prepararmi?” risponde “Da persona che potrebbe esserne colpita. Pensando alla possibilità di questa malattia, vivere più intensamente il presente e non rimandare tutto al futuro, perché potrebbe non essercene così tanto.”
Anche il teologo ricorda di concentrarsi sul qui e ora “Il nostro ora è diverso da quello di una persona con demenza. Per noi è chiaramente distinto dal passato e dal futuro, per una persona con demenza è qualcosa di più fluido, si lega il passato al presente, a volte si scambiano, si perde il senso del futuro. Si vive in un’altra forma di spazio e casualità che noi non possiamo comprendere totalmente.
L’autore chiude il libro con un forte e condivisibile richiamo alla dignità perché chiunque si trovi accanto a chi soffre di demenza non dimentichi la dimensione di una sofferenza impalpabile, e a volte difficile da immaginare, ma esistente.
“Vorrei avere un dignitometro che lampeggia e squilla quando la dignità di mia madre non è tenuta in considerazione, quando viene abbandonata senza una parola in un luogo che non conosce, quando viene lasciata da sola con la sua confusione e il suo dolore in una situazione che non riesce a comprendere.”
In questa coralità di voci si toccano tutti gli aspetti della gestione della demenza. Una quotidianità fatta di problemi organizzativi, economici, legali e di incolumità del proprio caro ma anche, ovviamente, di risvolti emotivi e angoscianti temi esistenziali. Incertezze, perplessità, sensi di colpa, decisioni difficili in cui il sentimento dell’ambivalenza gioca la parte del protagonista.
La ricchezza del libro, a mio avviso, è proprio questa coralità. Una prospettiva certamente utile a tutti noi e non solo a coloro, ormai sempre più numerosi, che si occupano quotidianamente, e spesso silenziosamente, di un familiare con demenza.
Il giorno in cui mia madre non riuscì più a trovare la cucina.
Jörn Klare
Feltrinelli Editore, 2015