Abbiamo letto: La persona depressa

Roberta Necci, 3/08/2016
la persona depressa

Tratto da “brevi interviste a uomini schifosi”, il racconto “La persona depressa” ha come protagonista uno stile narrativo decisamente ossessivo.

David Foster Wallace (1962 – 2008) scrive “Brevi interviste con uomini schifosi”, la raccolta di racconti che contiene “La persona depressa”, nel 1999, nove anni prima della sua morte per suicidio. Dell’autore si sa che soffriva di gravi depressioni ma forse il suo quadro psicopatologico era ben più complesso.

“La persona depressa” è un lungo racconto in cui si narra la storia di una giovane donna che soffre di depressione, di cui non si conoscerà il nome, chiamata sempre e solo la persona depressa, e delle sue relazioni con la psicoterapeuta (che muore suicida) e con il Sistema di Sostegno (un gruppo di amiche e conoscenti) che rappresentano la sua sfera interpersonale. Con loro si intrattiene nell’analizzare, in modo sempre più sottile e minuzioso, le sue ossessioni, paure, sentimenti.

Protagonista del racconto,  a mio avviso ancor più della persona depressaè lo stile narrativo. Una scrittura ripetitiva, piena di incisi, rimandi, precisazioni e parentesi, di per sé già molto impegnativa, complicata ancor più dal corredo di lunghissime note che completano il testo. Una lettura in cui è facile perdersi e che spesso obbliga a tornare indietro e rileggere più volte ma che ci permette di toccare con mano il modo di esprimersi farraginoso e disperato del pensiero depressivo e quello circolare e prolisso tipico del disturbo ossessivo compulsivo.

Il racconto non si legge “tutto d’un fiato” ma chiede attenzione e concentrazione. Gli occhi continuamente corrono tra le righe alla ricerca di un segno che aiuti a trovare un significato ma è piuttosto facile perdere il filo.
Per questa ragione immagino che questo racconto sarà interessante non solo da curiosi di disturbi della psiche ma anche dagli amanti della lettura consapevole per scoprire quanto spesso il “pilota automatico” sia attivo anche mentre leggiamo.

La terapeuta – che era decisamente più vecchia della persona depressa ma pur sempre più giovane della madre della persona depressa e che, stato delle unghie parte, a quella madre non somigliava praticamente sotto nessun punto di vista fisico stilistico – a volte infastidiva la persona depressa con quella sua abitudine di creare una gabbia digiforme sul grembo e di cambiare forma alla gabbia e di abbassare gli occhi fissando le varie gabbie geometriche durante il lavoro che svolgevano insieme. Col passare del tempo, però, man mano che il rapporto terapeutico si intensificava in termini di intimità e esternazione e fiducia, la vista delle gabbie digiformi irritava sempre meno la persona depressa, finendo col diventare poco più che una distrazione.
Molto più problematica in termini di fiducia e di autostima per la persona depressa, era l’abitudine che la terapeuta aveva di lanciare ogni tanto rapidissime occhiate al grosso orologio a forma di sole appeso alla parete dietro la comoda poltrona scamosciata dove normalmente la persona depressa sedeva durante il tempo che trascorrevano insieme,  lanciava (cioè la terapeuta lanciava)  occhiate rapidissime quasi furtive all’orologio, e col tempo la cosa che fini per urtare sempre più la persona depressa non era tanto che la terapeuta guardasse l’orologio,  quanto che cercasse apparentemente di nascondere o mascherare il fatto che guardava l’orologio.
La persona depressa – che era apparentemente sensibile, lo ammetteva, alla possibilità che chiunque lei cercasse di contattare per esternare fosse segretamente seccato, disgustato o volesse disperatamente liberarsi di lei più fretta possibile, e perciò era adeguatamente attenta ai minimi movimenti e a gesti che potevano indicare che un ascoltatore era consapevole del tempo o desideroso che il tempo passasse e mai una volta mancò di notare  quando la terapeuta lanciava  occhiate pur rapidissime o in alto all’orologio da parete o in basso al sottile, elegante orologio dal quadrante girato sotto il magro polso della terapeuta così da essere celato alla vista della persona depressa – aveva finito, sul concludersi del primo anno di rapporto terapeutico,  con lo scoppiare in singhiozzi e aveva esternato che si sentiva completamente umiliate svilita ogni volta che la terapeuta sembrava cercare di nascondere il fatto che desiderava sapere l’ora esatta.

Brevi interviste a uomini schifosi
David Foster Wallace
Einaudi

Autore: Roberta Necci