La corsa come metafora di un percorso psicologico per migliorare la conoscenza di sé stessi.
“I muscoli hanno buona memoria. Se vengono abituati gradualmente, con prudenza a portare il carico, vi si adattano con facilità. Se li si persuade dando loro ogni girono un compito concreto, chiedendo loro di svolgere gentilmente per noi una certa quantità di lavoro, si fanno coraggio e rispondono alla domanda usando a poco a poco sempre più energia. Ovviamente ci vuole tempo. Se li si forza non si ottiene nulla. Ma se ci si mette tutto il tempo necessario e si avanza gradino per gradino, diventeranno più docili, più pazienti e non solleveranno obiezioni – anche se a volte non avranno l’aria contenta. Bisogna far assimilare ai nostri muscoli, a forza di ripeterlo, che c’è un tot di lavoro da fare. I muscoli sono onesti. Se li trattiamo equamente non protestano. Ma se per alcuni giorni di fila non si fa portar loro alcun carico automaticamente si monteranno la testa, penseranno “Oh bene, non abbiamo più bisogno di farci il mazzo!” e non daranno più il massimo della loro potenza. I muscoli, come tutti gli esseri viventi, possibilmente vorrebbero vivere senza faticare troppo quindi, se non vengono caricati di un fardello, si rilassano si dimenticano le buone abitudini. E una volta che la memoria è svuotata, per riempirla di nuovo bisogna ricominciare tutto da capo.”
Il brano riportato è tratto dal volume “L’arte di correre” un libro autobiografico di Murakami Haruki, scrittore giapponese contemporaneo autore di molti romanzi di successo.
La sua passione per la maratona, sviluppata parallelamente a quella per la letteratura, trova splendidi punti di contatto tra scrittura e corsa (“Ho imparato molte cose riguardo alla scrittura facendo jogging ogni mattina”) e oltre alle sue esperienze da maratoneta (molto bello il resoconto dell’ultramaratona da 100 km) l’autore si focalizza sul rigoroso metodo seguito per raggiungere i suoi obiettivi da corridore, per superare i momenti di crisi e di scoraggiamento e per rinforzare la motivazione ad andare avanti.
Qualcuno penserà che questo libro potrà solo annoiare chi non ama la corsa e le maratone ritenendolo destinato unicamente a chi pratica questo sport. A mio avviso “L’arte di correre” si presta ad un’interessante chiave di lettura se ad esso si guarda come metafora di un percorso psicologico di conoscenza di sé stessi.
In molti passi del libro è possibile infatti rintracciare riflessioni e considerazioni comuni ai due ambiti. La fatica fisica dell’atleta che cerca di portare a termine il percorso della maratona è sovrapponibile alla fatica emotiva compiuta da chi cerca di superare gli obiettivi che si è posto all’inizio di una psicoterapia.
Che si parli di controllo dei muscoli o di stati d’animo non fa differenza, molte dimensioni emotive sono comuni: il timore di non farcela, l’indecisione, l’entusiasmo per aver superato una prova, la motivazione, la disciplina, il desiderio di cambiamento ma al tempo stesso la paura di affrontarlo.
“Si dica quel che si vuole, ma io sono un maratoneta. Come vengano giudicati il tempo che ottengo in gara e il mio posto in graduatoria è di secondaria importanza. Ciò che conta per me è tagliare un traguardo dopo l’altro con le mie gambe. Usare tutte le forze che sono necessarie, sopportare tutto ciò che devo, e alla fine essere contento di me”.
Così come per l’autore l’obiettivo non è più tanto “fare il tempo” ma riuscire a sostenere o a vincere una nuova maratona forte della consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti, per chi intraprende un percorso psicoterapeutico uno degli obiettivi può essere provare a fare “il meglio per sé stessi” e non quanto ritenuto “il meglio” in assoluto. Questo comporta impegno nel costruire una buona conoscenza del proprio mondo interiore accettandone i limiti ma, soprattutto, riconoscendo le risorse personali, a volte totalmente sconosciute o ampiamente sottovalutate.
Un impegno da maratoneti che chiede un passo dietro l’altro con costanza e determinazione e conduce nella corsa a tagliare il traguardo e nella vita alla soddisfazione di provare a vivere la “propria vita”.
“Naturalmente è stata dura, a un certo punto stavo quasi per perdermi d’animo. Ma in questo sport la fatica è data per scontata….. Proprio nello sforzo enorme e coraggioso di vincere la fatica riusciamo a provare almeno per un istante la sensazione autentica di vivere. Raggiungiamo la consapevolezza che la qualità del vivere non si trova in valori misurabili in voti, numeri e gradi, ma è insita nell’azione stessa, vi scorre dentro
L’arte di correre
Murakami Haruki
Einaudi, 2009