Gli effetti della pandemia e della quarantena sulla popolazione generale
Ricerche condotte prima in Cina e poi negli Stati Uniti indicano che la paura dell’infezione da coronavirus e la quarantena messa in atto per cercare di limitarne la diffusione hanno prodotto effetti negativi sulla salute mentale delle persone.
Ovunque viene segnalato l’aumento di sintomi ansiosi e depressivi, insonnia, irritabilità con conseguente aumento dell’uso di ansiolitici e antidepressivi. E l’Italia non fa eccezione.
Almeno questo è quanto emerge leggendo i dati relativi alle richieste di supporto psicologico arrivate al numero verde 800.833.833 messo gratuitamente a disposizione dei cittadini dal Ministero della Salute.
Su oltre 50mila telefonate, circa 7.000 erano relative a problemi di ansia, 6.500 di depressione, 1.000 a problemi di irritabilità e altre 1.000 a disturbi del sonno.
Si tratta di numeri importanti tanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme (ampiamente ripreso dai mass media anche in Italia) e ha definito l’impatto sull’equilibrio emotivo delle persone la “terza ondata” di conseguenze della pandemia dopo quella infettiva e quella economica.
Per capire cosa sta accadendo, perché sta accadendo e cosa fare è necessario tenere presente che i dati fotografano quanto succede nella popolazione generale, cioè a tutti noi, e non solo a chi già soffre di un disturbo emotivo.
Non c’è dubbio che per tutti la paura dell’infezione, le limitazioni imposte dalla quarantena e i timori per la crisi economica che si profila e si prevede pesante abbiano rappresentato e rappresentino ancora oggi un fattore di grande stress.
Mentre la maggior parte delle persone riesce a “convivere” con queste preoccupazioni, altre sono meno equipaggiate psicologicamente per fare far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e più facilmente vanno incontro a un disturbo emotivo.
Da quello che ho potuto osservare in questi mesi sia nella mia vita professionale, sia in quella privata molti di coloro che hanno sviluppato quadri depressivi o ansiosi in concomitanza con la pandemia e con le sue conseguenze già presentavano sintomi di depressione o ansia ma non avevano mai affrontato il problema o perché erano forme molto blande (tecnicamente si parla di forme “sotto-soglia”) o per un problema di stigma (pregiudizio verso i disturbi psichiatrici e/o le loro cure).
Finché tutto va bene i segnali di questi disturbi rimangono sotto traccia ma in situazioni altamente stressanti, come è quella attuale, è facile che l’equilibrio si rompa e che i sintomi emergano.
Due, a mio giudizio, sono le possibili azioni di contrasto.
- La prima, più urgente, è destinare maggiori risorse ai centri di salute mentale per metterli nelle condizioni di fare fronte alle richieste di aiuto che arriveranno e che saranno ancora di più a causa della perdita dei posti di lavoro e della crisi economica.
- La seconda, da sviluppare sul lungo periodo, è importante dal punto di vista della prevenzione. Una campagna contro i tanti pregiudizi che ancora oggi pesano sui disturbi psichiatrici e sulle loro cure permetterebbe a chi ne ha bisogno di avere una conoscenza scientificamente corretta del proprio problema, sapere quale è lo stile di vita più adatto per tenerlo sotto controllo e capire quando è necessario chiedere aiuto a uno specialista.
Non dobbiamo dimenticare mai infatti che, in base ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel modo occidentale solo la metà di coloro che soffrono di depressione riceve una diagnosi e un trattamento adeguato.