La storia di Francesca che, grazie alla mindfulness, tiene a bada l’ansia e riesce a fare una risonanza magnetica
“Di recente mi ha telefonato un collega medico vicino alla cinquantina che aveva subito un intervento di protesi all’anca (piuttosto precoce a quell’età), prima del quale era stata necessaria una risonanza magnetica. Mi ha raccontato quanto gli fosse stato utile avvolgersi nel respiro mentre il macchinario lo inghiottiva; ha detto che non riusciva neanche ad immaginare che effetto facesse sui pazienti che non sapevano niente di meditazione e dell’uso del respiro in consapevolezza per restare centrati in una situazione così difficile e di risonanze magnetiche se ne fanno tante, tutti i giorni.”
Jon Kabat-Zinn, tratto da “Riprendere i sensi”
La Risonanza Magnetica è un metodo di indagine fondamentale per la diagnosi di molte patologie. Sebbene negli ultimi anni la tecnologia sia molto migliorata, sono tante le persone che soffrono di ansia o di attacchi di panico per le quali questo esame resta problematico a causa della permanenza nel tunnel dell’apparecchiatura.
Il racconto di Francesca (il nome è di fantasia) suggerisce come, in alcuni casi, le pratiche di mindfulness possano aiutare a gestire l’ansia e permettere l’esecuzione dell’esame.
Arrivato il mio turno al banco dell’accettazione comunico i miei dati e la segretaria mi dà un questionario da riempire “Serve per conoscere alcuni dati sul suo stato di salute, è semplice basta mettere un segno sul si o sul no”. Infatti le domande del genere “Soffre di diabete?” Si/No, mi permettono di arrivare all’ultima senza fatica. Alla domanda “Soffre di claustrofobia?” però non so come rispondere. Vorrei scrivere “Non tanto, un pochino”, ma i quadratini non danno scelta: Si/No.
Che fare? Provo a chiedere un consiglio alla segretaria che mi ascolta ma c’è una lunga fila di persone, e con tono sicuro dice “Scriva Si”. Un po’ a malincuore eseguo.
Quando arriva il mio turno il radiologo mi invita a guardare la macchina “Ecco questa è la risonanza, che ne dice? Pensa di farcela? Altrimenti le possiamo dare qualche goccia di ansiolitico”. Guardo dal vetro, sento arrivare in tutto il corpo una leggera onda di tensione generalizzata e lo sguardo allontanarsi dalla macchina ma il tunnel è meno stretto di quanto immaginassi. Vorrei farcela, penso, e rispondo “Si, va bene”.
Entro nella sala della risonanza e mi concentro sui movimenti che devo fare per sdraiarmi sul lettino mentre sento una certa rigidità in tutto il corpo. Stringo forte nella mano destra il pulsante che l’infermiera mi da in caso voglia interrompere l’esame. Ancorata sul lettino scorrevole vedo arrivare pensieri di forte preoccupazione prima ancora di entrare.
All’ansia per la ragione di questo esame si aggiunge l’ansia di dover stare nel tunnel.
“E se mi manca l’aria?”
“E se non ce la faccio?”
“Non posso muovermi, se suono mi porteranno fuori subito?”
“Se sono distratti e non mi sentono?”
Riconosco tutti quei pensieri che cominciano con “se”, è l’ansia che si prepara, che comincia ad organizzare il suo arrivo. Faccio qualche respiro per tenere a bada i “se” e nello spazio di quei respiri intravedo una possibilità. “Sono ancora fuori dalla macchina, chiudo gli occhi prima di entrare e quando sono dentro non guardo com’è.”
Così la mia risonanza inizia fuori dal tunnel. Chiudo gli occhi e mi focalizzo sul respiro come ho imparato nel corso di mindfulness. Il fluire dell’aria genera un movimento del torace che mi accompagna mentre avverto lo scorrere del lettino verso l’interno della macchina.
Continuo a mantenere l’attenzione al respiro ma sento emergere una fortissima tentazione ad aprire gli occhi. Il respiro, già corto e abbastanza veloce, si accorcia ancora di più e un mix di paura e curiosità si fa sentire sul viso a livello degli occhi. So che non è vera e propria curiosità è bisogno di controllare. Comincia un serrato dialogo con me stessa, un estenuante botta e risposta:
“Potrei aprire gli occhi, magari mi accorgo che non mi spavento affatto”
“E se poi invece ti spaventi? Combini un guaio… dovresti interrompere subito…”
“Mi tirano fuori, poi mi calmo e riprovo”
“E se ti spaventi troppo? Finisce che non lo fai più mentre questo esame è importante, devi arrivare alla fine”
I pensieri si affastellano, si danno sulla voce uno con l’altro. Mentre cerco il respiro per provare a lasciarli andare mi aiuta l’invito della voce del radiologo attraverso le cuffie “Faccia un bel respiro… fuori l’aria… un altro bel respiro… trattenga… respiri di nuovo” che mi obbliga a focalizzarmi sul respiro. Mi chiede di farlo più volte e vedo i pensieri allontanarsi. Mi rivolgo qualche parola di incoraggiamento : “Stai tranquilla e tieni gli occhi chiusi, l’obiettivo è arrivare in fondo. Stai con il respiro e non aprire gli occhi”. Funziona, lascio andare la tentazione di aprire gli occhi tornando al motivo che mi porta lì. La ragione di quell’indagine è importante e voglio completare l’esame.
Aggancio di nuovo l’attenzione al respiro, ai suoni che la macchina emette. Più volte i pensieri tornano all’attacco e devo impegnarmi a lasciar andare il desiderio di aprire gli occhi. Più volte torno a ripetermi “Puoi stare qui, tieni chiusi gli occhi e senti il respiro”.
Dopo molti “Faccia un bel respiro… fuori l’aria… un altro bel respiro… trattenga… respiri di nuovo”, finalmente arriva “Abbiamo finito”. Il lettino scorrevole si muove, continuo a tenere gli occhi chiusi fino a quando non si ferma.
Sono fuori. Resto attenta ad ogni movimento e sento il corpo scattare velocemente. Vorrei girarmi per vedere dove sono stata per tutto quel tempo, ma mi accontento di essere arrivata in fondo e decido di guardare avanti.
Mi alzo, non mi giro ed esco.