La principale caratteristica del disturbo bipolare è la tendenza alle ricadute. Il suo trattamento non può prescindere da questo aspetto e deve guardare anche a lungo termine.
Da circa trenta anni mi occupo di disturbi bipolari e quasi ogni giorno mi capita di formulare questa diagnosi. So bene quale angoscia può provocare sapere di essere affetti da questa patologia e quanto sia utile per il paziente e per i familiari avere informazioni comprensibili e scientificamente corrette sulle caratteristiche del disturbo, sulle sue possibili evoluzioni e sulle prospettive terapeutiche a breve e, soprattutto, a lungo termine.
In genere è proprio la necessità di un trattamento preventivo a suscitare maggiori preoccupazioni e a stimolare il maggior numero di domande.
Perché è necessario proseguire le cure anche quando si sta bene?
Chi soffre di disturbo bipolare, cioè chi alterna fasi di depressione e di euforia, ha un alto rischio – fino all’80-90% dei casi- di andare incontro a periodiche ricadute ed ogni nuovo episodio può facilitare la comparsa di ulteriori episodi, ridurre la risposta alle cure e aumentare la possibilità di un’evoluzione cronica.
Pertanto è dovere dello psichiatra, quando diagnostica un disturbo bipolare, non solo pensare ad una terapia per la fase acuta, ma anche valutare l’opportunità di un trattamento “preventivo” allo scopo di ridurre il rischio di future ricadute e di eliminare quei sintomi, come ansia, irritabilità, eccessiva emotività, facili variazioni dell’umore, che spesso sono presenti nell’intervallo tra un episodio e l’altro e che possono condizionare la vita quotidiana del paziente.
Chi dovrebbe seguire un trattamento a lungo termine?
Una terapia preventiva è necessaria per tutti i pazienti che hanno presentato tre ricadute nel corso della vita o due ricadute in meno di cinque anni in quanto maggiormente esposti a ulteriori ricadute.
A volte può essere opportuno prescrivere una terapia a lungo termine anche dopo un solo episodio, se questo è stato particolarmente grave, prolungato o difficile da curare.
Quanto dura la terapia preventiva?
La durata della terapia preventiva viene decisa caso per caso valutando il numero e la gravità degli episodi precedenti, la risposta (più o meno completa) alle cure e le possibili conseguenze che un’ulteriore ricaduta potrebbe avere sul lavoro, sui rapporti familiari e sociali.
Come regola generale il trattamento non dovrebbe essere sospeso prima di almeno 2-3 anni di completo equilibrio. In molti casi è tuttavia preferibile proseguirlo il più a lungo possibile, talvolta anche a tempo indefinito, poiché alla sospensione è possibile la ricomparsa di nuovi episodi anche dopo anni di benessere.
Quale farmaco viene utilizzato per la prevenzione?
Non abbiamo ancora a disposizione un singolo farmaco che abbia le proprietà dello stabilizzatore “ideale”, che sia cioè capace di curare e di prevenire sia le fasi depressive sia quelle espansive (maniacali e ipomaniacali).
Lo psichiatra deve pertanto individuare tra i diversi stabilizzatori dell’umore oggi disponibili quello di volta in volta più adatto tenendo conto delle caratteristiche con cui il disturbo si manifesta nel singolo paziente (prevalgono le fasi depressive o quelle espansive?, in fase acuta sono presenti deliri o altri sintomi psicotici?, quanto è lungol’intervallo libero tra un episodio e l’altro?) e la sensibilità agli effetti collaterali.
La letteratura scientifica ha ampiamente descritto vantaggi e limiti di quelli che sono definiti stabilizzatori di prima generazione: sali di litio, acido valproico e carbamazepina.
In sintesi, i sali di litio rappresentano ancora il trattamento più efficace disponibile. Essi sono in grado di controllare completamente il disturbo nel 40% circa dei pazienti e di ridurre la frequenza e l’intensità delle recidive, sia depressive, sia espansive, in un ulteriore 45% dei pazienti. Attenuano inoltre la labilità dell’umore tra un episodio e l’altro, riducono fino a 5 volte il rischio di suicidio e, più in generale, migliorano l’aspettativa di vita di chi soffre di disturbi bipolari.
Acido valproico e carbamazepina sono più facilmente accettati dai pazienti, perché richiedono meno indagini di laboratorio da eseguire periodicamente e hanno effetti collaterali soggettivamente meglio tollerati rispetto a quelli causati dai sali di litio, ma sono meno efficaci di questi ultimi soprattutto nel prevenire le recidive depressive.
Se sono meno efficaci, quando vengono utilizzati e perché?
L’acido valproico, la carbamazepina e un derivato di quest’ultima, l’oxcarbazepina, sono prescritti da soli nelle forme meno gravi oppure se c’è un’intolleranza o una controindicazione ai sali di litio. Spesso sono utilizzati in associazione al litio se dopo un periodo di tempo adeguato, per esempio un anno, questo non ha ancora dato una risposta soddisfacente.
Esistono nuovi farmaci stabilizzatori?
Recenti studi, condotti con metodi rigorosi, hanno dimostrato l’efficacia nella prevenzione delle ricadute della lamotrigina e dell’olanzapina.
La lamotrigina è un antiepilettico di nuova generazione che, a dosi comprese tra 50 e 200 mg al giorno, svolge contemporaneamente un’azione antidepressiva e stabilizzatrice per cui viene prescritta soprattutto quando prevalgono le ricadute depressive e nelle forme con 4 o più episodi per anno (“disturbi bipolari a cicli rapidi”).
E’ un farmaco abitualmente ben tollerato: gli effetti collaterali più comuni (10% dei casi) sono la nausea, i tremori, la sonnolenza e il mal di testa che possono essere controllati riducendo temporaneamente il dosaggio.
Raramente, soprattutto se le dosi vengono aumentate troppo rapidamente, può causare un “rash cutaneo”, cioè la comparsa sulla pelle di macchie rosse pruriginose, che richiede l’immediata sospensione del trattamento e la necessità di contattare un medico perché può essere pericoloso.
Rispetto a tutti gli altri stabilizzatori dell’umore la lamotrigina ha un effetto secondario “vantaggioso” che spesso viene volutamente sfruttato: riduce l’appetito aiutando a mantenere il peso.
L’olanzapina è un antipsicotico atipico la cui efficacia profilattica, alla dose di 5-15mg al giorno, è risultata equivalente a quella del litio nel prevenire le ricadute depressive e superiore nel prevenire quelle maniacali e ipomaniacali.
Il principale effetto indesiderato è rappresentato dall’aumento di peso, che può essere in parte contenuto con un regime dietetico adeguato e con un aumento dell’attività fisica.
Questo farmaco richiede un controllo periodico di alcuni parametri di laboratorio (glicemia, colesterolo e trigliceridi, funzionalità epatica e pancreatica).
Se, pur seguendo un trattamento stabilizzante, continuano le ricadute è ancora possibile fare qualcosa?
Gli stabilizzatori di prima e seconda generazione sono strumenti terapeutici validi ma non sono sempre sufficienti, soprattutto in monoterapia, per un completo controllo delle ricadute.
Nelle forme “resistenti” lo psichiatra è costretto, pur con la massima prudenza, ad associare due e talvolta anche più di due farmaci per migliorare i risultati. La combinazione varia da caso a caso ed è stabilita in base ai sintomi presenti in fase acuta, alla frequenza e al tipo di ricadute e alla contemporanea presenza di altri disturbi psichiatrici, per esempio attacchi di panico, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo della condotta alimentare ecc.
In genere l’associazione consiste nella contemporanea prescrizione di più stabilizzatori ma può comprendere anche antidepressivi o farmaci che, pur non avendo un’indicazione specifica per la prevenzione dei disturbi bipolari, vengono utilizzati a questo scopo per fronteggiare condizioni cliniche particolari.
Quali sono questi farmaci “sperimentali” e quando servono?
In realtà non si tratta di farmaci sperimentali in quanto sono già in commercio, alcuni anche da molti anni, ma per curare patologie diverse.
Per esempio, gli antipsicotici atipici, come risperidone, quetiapina, clozapina e aripiprazolo, sono indicati nella schizofrenia ma vengono anche impiegati nella cura delle fasi maniacali, soprattutto se con sintomi psicotici, e, a volte, possono essere prescritti a lungo termine insieme agli stabilizzatori per prevenire nuovi episodi.
Sempre in associazione agli stabilizzatori di prima o seconda generazione si possono utilizzare due antiepilettici, il gabapentin (se concomita marcata ansia o fobia sociale) e il topiramato (se concomita bulimia), oppure gli ormoni tiroidei (se la frequenza delle ricadute è di 4 o più per anno).
Il ricorso a queste combinazioni è riservato a casi eccezionali e dovrebbe essere effettuato in centri specializzati nel trattamento dei disturbi bipolari.
La psicoterapia può essere utile nella prevenzione dei disturbi bipolari?
Oggi un efficace trattamento preventivo dei disturbi bipolari non può prescindere da un intervento psicologico che vada ad affiancare, certo non a sostituire, la terapia farmacologica.
Scopo della psicoterapia è innanzitutto migliorare la consapevolezza del paziente circa la sua patologia e la necessità di una cura a lungo termine e fornire, al paziente e ai familiari, informazioni sui sintomi, sul decorso e su come riconoscere i primi segnali di un nuovo episodio.
A questo proposito è stato dimostrato che intervenendo tempestivamente e con i farmaci adatti ai primi sintomi di eccitamento è possibile bloccare l’evoluzione verso un episodio pieno e quindi evitare mesi di sofferenze, cure più pesanti ed eventuali ricoveri.
L’intervento psicologico dovrebbe inoltre aiutare il paziente a trovare ritmi e stili di vita più regolari, a gestire meglio gli eventi stressanti, a migliorare il suo adattamento sociale e lavorativo, a favorire un atteggiamento di comprensione e di protezione da parte dei congiunti.
Tutti gli studi confermano che il raggiungimento di questi obiettivi, apparentemente limitati, consente una significativa riduzione delle ricadute, depressive e maniacali, e dei ricoveri.
Quale tipo di psicoterapia è più adatto?
Negli ultimi anni sono state sviluppate alcune modalità di intervento psicologico appositamente studiate per coloro che soffrono di disturbi bipolari; si tratta di terapie mirate e di breve durata, rivolte ai pazienti ma che spesso coinvolgono, almeno temporaneamente, anche i familiari. Queste tecniche costituiscono il fulcro dell’approccio psicoeducazionale e si ritrovano anche nella psicoterapia interpersonale e nella terapia cognitivo-comportamentale.
Una volta raggiunta la stabilità per migliorare la gestione degli eventi stressanti può essere utile un percorso di mindfulness.
Infine pur non rappresentando una vera e propria terapia, può essere vantaggiosa anche la partecipazione ai gruppi di Auto-Aiuto per pazienti e familiari.
Se si soffre di un disturbo bipolare è indispensabile tenere presente che la sua principale caratteristica è la tendenza alle ricadute e che, pertanto, è indispensabile un trattamento a lungo termine. La terapia preventiva a volte può essere complessa, perché complessa è la patologia, e richiedere l’assunzione di più di un farmaco e l’associazione di un intervento psicologico mirato. Essa rappresenta tuttavia l’unico modo per prevenire ulteriori episodi e tutte le conseguenze, sul piano lavorativo, sociale e familiare, che queste ricadute comportano.