Psicoterapia cognitivo comportamentale

Luca Cieri, Marinella Daniele, Anita Parena, Loretta Salvati, 18/05/2014

Cos’è, come funziona, cosa si fa nella psicoterapia cognitivo comportamentale. Uno degli approcci più conosciuti e più utilizzati nel mondo ed uno dei pochi la cui efficacia è stata scientificamente provata.

Cos’è la terapia cognitivo-comportamentale?
La terapia cognitivo-comportamentale (d’ora in avanti indicata per brevità CBT, la sigla con cui è conosciuta in gran parte del mondo e che sta per Cognitive-Behavorial Therapy) è oggi uno degli approcci psicoterapeutici più conosciuti e più utilizzati nel mondo ed uno dei pochi la cui efficacia è stata scientificamente provata.
Il suo obiettivo è quello di studiare e curare con strumenti psicologici (come il dialogo, la relazione terapeutica, le tecniche di apprendimento, etc.) i problemi emotivi e comportamentali delle persone. Per farlo si avvale di metodi e tecniche molto semplici e adattabili alle caratteristiche e alle necessità del singolo individuo.

Quali sono le sue caratteristiche principali?
Ci sono vari modi di utilizzare gli strumenti propri della CBT e, in relazione alla capacità e all’esperienza del singolo terapeuta, diverse modalità di condurre la terapia. E’ possibile tuttavia identificare alcuni elementi costanti che chiunque si accinga ad intraprendere la CBT potrà facilmente riconoscere nel corso del proprio trattamento:

  • la durata della psicoterapia è relativamente breve, soprattutto se confrontata con quella dell’approccio psicoanalitico;
  • gli incontri generalmente hanno una frequenza settimanale e durano mediamente 50 minuti;
  • la terapia mira in prima istanza a risolvere i problemi attuali portati dalla persona (come si usa dire in linguaggio psicoterapeutico il “qui ed ora”);
  • il lavoro è centrato soprattutto sull’analisi e sul cambiamento delle convinzioni e dei modi di pensare che causano sofferenza e sullo sviluppo di comportamenti nuovi e più adattivi;
  • tra un incontro e l’altro il paziente svolge in autonomia specifici esercizi concordati in seduta con il terapeuta;
  • in tutte le fasi della terapia è fondamentale la collaborazione tra terapeuta e paziente che scelgono insieme gli obiettivi, le strategie e gli interventi più adatti al caso specifico.

In cosa consiste la terapia?
Qualsiasi sia il motivo per cui si decide di intraprendere la CBT, il percorso terapeutico prevede invariabilmente alcune tappe fondamentali:

  • la definizione del problema
  • la scelta degli obiettivi
  • la messa a punto della strategia terapeutica
  • la condivisione del contratto terapeutico
  • l’intervento per raggiungere l’obiettivo concordato
  • la conclusione del trattamento

Come inizia la terapia? (definizione del problema e scelta degli obiettivi)
Nei primi incontri il paziente viene attivamente coinvolto dal terapeuta nella ricerca di osservazioni ed elementi che permettano di individuare e circoscrivere il problema per cui ha chiesto aiuto. In altri termini, il paziente è invitato a chiedersi “cosa non va nella mia vita?”, “quale comportamento, stato d’animo, modo di pensare mi piacerebbe comprendere, controllare, modificare?”.
Per trovare una risposta a queste domande si può ricorrere ad alcune tecniche di “auto-osservazione”, la più usata delle quali è quella conosciuta con l’acronimo “ABC”. Si tratta di un semplice schema a tre colonne in cui la persona è invitata ad annotare un episodio problematico.
Nella colonna “A” si descrive la circostanza in cui si è verificato il fatto, ad esempio “ero in macchina da solo, bloccato nel traffico dell’ora di punta”. Nella colonna “B” si riportano i pensieri e qualsiasi cosa sia passata nella mente in quel momento, ad esempio “se mi venisse un infarto in questo momento nessuno potrebbe soccorrermi”. Infine, nella colonna “C” si annotano le conseguenze emotive e comportamenti dei pensieri appena fatti, ovvero ciò che la persona ha provato e ciò che ha fatto, ad esempio “ho iniziato a sudare freddo, ad avere paura e a cercare il modo più rapido per andare via”.

Sintetizzando, verrà fuori uno schema di questo tipo:

Dopo aver analizzato insieme diversi episodi critici utilizzando questo schema, terapeuta e paziente sono in grado di circoscrivere con più chiarezza il problema e definire quello che sarà l’obiettivo concreto della terapia.

Nel caso sopra riportato, ad esempio, potrebbe realizzare che il problema del paziente consiste nel provare un’ansia molto intensa (C) in conseguenza di pensieri catastrofici relativi alla propria salute (essere colpito da infarto, ictus, etc.) (B) che fa ogni volta che si trova da solo in situazioni con poche vie di uscita (traffico, metropolitana, aereo, etc.) (A) con conseguente evitamento di tutte le situazioni vissute come troppo rischiose ed ansiogene e progressivo impoverimento della qualità di vita (usa l’automobile solo se accompagnato, non prende i mezzi pubblici, rinuncia ad occasioni di lavoro, etc.).
Chiarito il problema, si potrà pensare ad un obiettivo terapeutico concreto, cioè a dare una risposta a domande come “cosa voglio ottenere realmente dalla terapia?”, “cosa mi piacerebbe cambiare di questa situazione problematica?”

Come si raggiungono gli obiettivi desiderati? (Messa a punto della strategia terapeutica e intervento)
Una volta definito il problema e chiarito l’obiettivo della terapia ci si pone la domanda: “cosa posso fare per ottenere il cambiamento desiderato?”, “come posso raggiungere l’obiettivo?”. In alcuni casi già avere inquadrato il problema e avere specificato gli obiettivi può produrre un beneficio. Questo accade perché la persona è più consapevole dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti legati alle situazioni problematiche per cui assume un ruolo cognitivamente ed emotivamente più attivo nei confronti della realtà ed acquisisce una maggiore sicurezza in se stesso. Questo iniziale beneficio, che qualche volta si osserva, non è di per sé certamente sufficiente.
Si rende pertanto sempre necessaria una fase in cui terapeuta e paziente ragionino insieme sulle tecniche da utilizzare o, in modo più creativo, escogitino essi stessi esercizi ed attività che consentano il raggiungimento dell’obiettivo concordato.
Tornando al nostro esempio, possiamo immaginare che il terapeuta proponga al paziente il ricorso ad una tecnica “di esposizione”, che consiste nel trovare il modo di affrontare gradualmente, e secondo precise modalità, le situazioni temute. In questo modo si raggiungono due scopi: da una parte si verifica una naturale riduzione (meccanismo di “adattamento”) dell’intensità dei sintomi fisici correlati all’ansia, dall’altra si “tocca con mano”, grazie all’esperienza concreta, che le previsioni catastrofiche che si accompagnano al panico non sono realistiche.
La terapia cognitiva non ha comunque nulla di rigidamente prestabilito per cui è possibile anche immaginare che, per i motivi più vari, terapeuta e paziente decidano di rinunciare alla tecnica di “esposizione graduale” sopra descritta privilegiandone altre, come quella di rilassamento o di ristrutturazione cognitiva. O ancora, che concordino di modificare leggermente l’obiettivo o addirittura di cambiarlo totalmente sulla base delle osservazioni emerse durante le prime fasi della terapia.

L’importante è che terapeuta e paziente collaborino costantemente nell’esplorazione di ciò che il paziente realmente desidera e del modo in cui questo possa essere ottenuto.

Ci sono regole da seguire? (Contratto terapeutico)
Una volta definito quello che potrebbe essere il percorso terapeutico da intraprendere, cioè il “come fare” per raggiungere l’obiettivo desiderato, solitamente si “contrattano” i tempi e i modi con cui portare avanti il trattamento.
Si stabilirà la durata e la frequenza delle sedute, se e quando comunicare telefonicamente, cosa fare in caso di un appuntamento mancato, come gestire un eventuale momento di crisi, su quali criteri si verifica periodicamente l’andamento della terapia, etc. In altri termini, terapeuta e paziente fissano (ovviamente in modo flessibile e sempre rinegoziabile) le regole che si impegneranno a seguire durante il percorse terapeutico. Questo solitamente facilita il rapporto terapeuta-paziente liberandolo da equivoci, dubbi, incomprensioni e favorisce il consolidamento di un punto di importanza cruciale, l’alleanza terapeutica.

Da questo momento terapeuta e paziente sono in possesso di una mappa che li guiderà lungo tutto il percorso e possono finalmente iniziare a mettere in pratica quanto concordato nelle fasi precedenti.

Quando termina la terapia? (Conclusione del trattamento)
Nella maggior parte dei casi il momento migliore per concludere la psicoterapia è rappresentato dal raggiungimento dell’obiettivo concordato nelle fasi iniziali, sia esso l’eliminazione di un sintomo (per esempio una fobia), il superamento di uno stato d’animo pervasivo e spiacevole (per esempio tristezza e pessimismo) o il cambiamento di un comportamento disfunzionale (per esempio difficoltà sessuali o nei rapporti affettivi o sociali), e si sia inoltre lavorato per il consolidamento, e dunque per il mantenimento, dei risultati ottenuti. Una chiusura affrettata dalla terapia può infatti aumentare il rischio di ricadute.
Alcuni pazienti, tuttavia, pur essendo soddisfatti dei risultati ottenuti, ritengono utile “saperne di più”, “andare più a fondo”, capire “come mai” in quel preciso momento della loro vita hanno avuto proprio quel tipo di problema. In questi casi è possibile attuare una “ristrutturazione cognitiva” che, attraverso l’analisi della storia personale di sviluppo, porta alla ricostruzione delle modalità con cui si sono formate nell’infanzia, e confermate nel corso della vita, alcune convinzioni “di base” relative all’immagine di sé, agli altri e al mondo. Queste convinzioni, di cui non si è pienamente consapevoli, guidano i comportamenti, orientano le scelte, determinano le reazioni emotive. Da esse possono derivare anche, sulla spinta di specifici eventi come una separazione, un cambiamento lavorativo o una delusione, quelle reazioni disfunzionali che sono l’oggetto della psicoterapia.

L’intervento cognitivo migliora la consapevolezza delle proprie cognizioni “di base” e aiuta ad operare una revisione in modo da superare alcuni condizionamenti derivanti dalle esperienze infantili e arricchirla con le informazioni che derivano dalle esperienze della vita adulta.
La conclusione è un momento particolarmente delicato del trattamento e per essa valgono gli stessi principi che hanno ispirato le fasi precedenti. Primo fra tutti quello della collaborazione tra terapeuta e paziente che decideranno insieme quando fermarsi, valutando con cura tutti gli elementi a favore o contro tale eventualità, e come fermarsi, per esempio diradando gli incontri e mettendo in atto una sorta di distacco graduale.

Sebbene una psicoterapia implichi comunque l’acquisizione di un metodo che si continuerà ad utilizzare autonomamente nel corso delle vita, è sempre possibile che gli eventi richiedano una temporanea ripresa del rapporto terapeutico per approfondire e fronteggiare eventuali nuovi problemi.

Autore: Anita Parena