Una delle domande più frequenti tra i genitori di adolescenti.
La maggior parte degli adolescenti fa uso, occasionalmente o regolarmente, di “canne” o “spinelli”, che contengono un misto di tabacco e marijuana. Per comprendere il significato e le possibili conseguenze di questa abitudine è necessario tenere presenti alcune informazioni scientifiche che, pur essendo ormai ampiamente dimostrate, sono ancora poco note.
La marijuana è una sostanza grigio-verde costituita da foglie, gambi, semi e fiori secchi triturati di cannabis sativa, la pianta della canapa. Essa contiene circa 400 sostanze chimiche, la principale delle quali è il delta-9-tetraidrocannabinolo che agisce sul cervello aumentando la produzione di dopamina (un neurotrasmettitore), come accade per un po’ tutte le altre sostanze da abuso (alcol, cocaina ecc…).
Dopo aver assunto marijuana una persona avverte una sensazione di piacere e benessere, può percepire in modo alterato colori, suoni e lo scorrere del tempo. A questo si possono associare occhi arrossati, batticuore, aumento della fame e della sete, tremore delle mani, rallentamento dei riflessi, quest’ultimo possibile causa di incidenti stradali. Dopo 1-3 ore gli effetti svaniscono e rimane un senso di stanchezza o avvilimento.
L’uso di marijuana può causare diversi problemi psichici. Innanzitutto, se c’è una predisposizione biologica (e non è possibile saperlo prima), può scatenare attacchi di panico, depressione, disturbi bipolari (cioè alternanza di depressione e euforia) o uno stato psicotico (cioè un distacco dalla realtà con diffidenza, sensazione di essere presi in giro o perseguitati, ecc…).
Al di là delle personali predisposizioni, l’uso prolungato di marijuana può causare difficoltà di concentrazione, attenzione e memoria, con conseguente crollo del rendimento scolastico, e quella che viene definita una “sindrome amotivazionale”, cioè perdita di interessi, scarsa progettualità e tendenza all’isolamento, che viene giustificata come una scelta filosofico-esistenziale.
Agli effetti psichici vanno aggiunti i possibili danni fisici, simili a quelli derivanti dal fumo di tabacco: bruciore e rossore alla gola e alla bocca, tosse, catarro, infezioni bronco-polmonari, asma, ecc…
Infine, contrariamente a quella che è l’opinione comune, la marijuana può creare craving, cioè forte desiderio di continuare ad assumerne, e dipendenza con sintomi di astinenza, come ansia, irritabilità, aggressività, irrequietezza, nausea e disturbi del sonno, che possono protrarsi oltre una settimana.
Come comportarsi se si scopre che il proprio figlio adolescente “si fa le canne”?
L’argomento andrebbe affrontato con serenità ma, allo stesso tempo, con rigore e responsabilità dando per scontato che in prima battuta ci si sentirà rispondere: “Ma che vuoi che faccia uno spinello? Tutti i miei amici lo fumano e poi la televisione e i giornali dicono che non è dannoso….”.
Quando ci accorgiamo che nostro figlio/figlia “si fa le canne”innanzitutto è importante distinguere la modalità e la frequenza di assunzione della sostanza, cioè se l’uso è sporadico e limitato a rari episodi condivisi con il proprio gruppo di amici oppure continuo.
Per operare questa distinzione l’osservazione del comportamento è lo strumento più utile.
Ci sono stati cambiamenti nello stile di vita dell’adolescente (rendimento scolastico, rapporti con i familiari, relazioni con gli altri, attività sportiva)? Se constatiamo un progressivo e indubbio mutamento dei comportamenti ci troviamo di fronte, con buona probabilità, ad un problema in cui l’uso della sostanza è indice di un disagio importante che richiede l’intervento di uno specialista (psicologo o psichiatra).
Per aiutare l’adolescente ad accettare l’aiuto di uno specialista è opportuno non focalizzarsi sulla dannosità del “farsi le canne”, cosa che produrrebbe incomprensione e conseguente chiusura, ma piuttosto focalizzarsi sul malessere evidente (tristezza, rabbia, chiusura verso gli altri, senso di inadeguatezza).
Se invece l’osservazione non rivela cambiamenti importanti possiamo pensare ad un uso occasionale, in questo caso può essere sufficiente un’informazione mirata che responsabilizzi il ragazzo e lo porti a rendersi autonomo rispetto alle scelte del gruppo.
Nella nostra esperienza, inoltre, l’atteggiamento da tenere verso un figlio che “si fa le canne” è spesso motivo di conflitto all’interno della coppia essendo uno dei genitori più rigido e intransigente, l’altro più permissivo.
In genere è più tollerante quel padre o quella madre che in passato ha a sua volta usato la marijuana.
La propensione a lasciar correre non tiene tuttavia conto che “il fumo” oggi sul mercato è completamente diverso da quello che si trovava tra il 1970 e il 1990 poiché, modificando geneticamente le piante, i produttori sono riusciti a far salire la concentrazione di delta-9-tetraidrocannabinolo dal 5% al 25-30%.
Questo ha enormemente amplificato l’effetto che la marijuana ha sul cervello sia a breve, sia a lungo termine e ha completamente cambiato lo scenario, rispetto al passato, per quanto riguarda le conseguenze.