Storie di consapevolezza alimentare. Il racconto di Mario.

Roberta Necci, 15/4/2019

Come la consapevolezza alimentare aiuta uno scrittore a limitare gli effetti negativi del bisogno di mangiare compulsivamente senza annullare la sua ispirazione.

Mario, mi racconti di queste tue pause alimentari fonti di ispirazione?

Più che fonti di ispirazione direi che le pause alimentari mi sono indispensabili per portare avanti il mio lavoro. Anche quando ho le idee chiare su cosa voglio scrivere, mettere parole in fila e dar loro il senso che voglio non è sempre così semplice.  A volte per costruire una frase o esprimere un concetto come vorrei mi serve tempo e, soprattutto, mi sono necessari tentativi su tentativi su tentativi. Quando questo accade entro in uno stato di tensione crescente che oltre un certo limite diventa sofferenza improduttiva che blocca la mia creatività.

Puoi descrivere più precisamente questa “tensione crescente”?

Certo, si tratta di una sensazione generale spiacevole, quasi di sofferenza: ho i muscoli contratti, mi sento rigido, i miei pensieri girano vorticosamente sulla frase o sul concetto che non riesco a modellare come vorrei, ho la sensazione che la mia testa sia compressa o stia per scoppiare… È una vera e propria fatica come se tirassi su e giù, su e giù sempre lo stesso peso. Ad un certo punto la forza dei muscoli si esaurisce e quando questa sensazione di testa compressa arriva so che è inutile andare avanti, devo fermarmi, fare qualcosa.

Da quando scrivo, cioè da più da 20 anni, quello che mi aiuta a ridurre la tensione è: mi alzo e automaticamente vado verso la cucina, continuo a rimuginare sulla frase che non gira, o sul concetto che non riesco ad esprimere come vorrei. Già alzarmi e fare qualche passo allenta un po’ la pressione ma non è sufficiente. Allora apro il frigorifero e comincio a mangiare quello che trovo, oggi per fortuna soprattutto frutta.
Non mi rendo completamente conto di quello che mando giù, non è la fame a spingermi, ma mangiare mi aiuta a rallentare. La tensione diminuisce, recupero concentrazione e attenzione e quasi sempre dopo queste piccole abbuffate alimentari (in questa stagione possono bastare 2 mele) riesco a scrivere ciò che voglio in una forma che mi soddisfa.

Descrivi molto precisamente questo tuo meccanismo, ne sei sempre stato così consapevole?

No, non sempre,  la mindfulness mi ha aiutato e la consapevolezza nella relazione con il cibo è migliorata pian piano nel tempo. Ora infatti ho più chiaro che cosa mi porta a mangiare in maniera compulsiva e spesso sono in grado di riconoscere i segnali di tensione che mi spingono a fare qualcosa. Grazie a questo riesco a gestire meglio questa esigenza senza espormi al rischio di ingurgitare cibo in modo compulsivo e dannoso per la mia salute. Non ti nascondo infatti che da sempre il mio cibo preferito sono i dolci e quando ho cominciato a scrivere durante le mie “pause alimentari” ricercavo proprio questo tipo di alimenti: biscotti, cioccolata, marmellata, persino pane e zucchero. Puoi immaginare le conseguenze…

Mi è servito molto capire che non devo cercare di combattere a tutti i costi questo comportamento,  indispensabile a contrastare la tensione improduttiva e proseguire con il mio lavoro, ma che posso gestirlo diversamente.
Ora quando mi alzo e vado verso la cucina mi è più facile riconoscere cosa mi spinge a farlo. Non è più un impulso che si impossessa di me come se io non me ne accorgessi e la consapevolezza  mi aiuta a orientare le mie scelte verso cibi meno dannosi per la mia salute.
Per esempio riesco a evitare quasi sempre i dolci, anche perché cerco di tenerne pochissimi in casa, e mangio cibi più innocui ma che mi piacciono molto ugualmente: frutta, verdura che si può mangiare cruda o olive.

La consapevolezza mi ha soprattutto aiutato a capire che in quel momento ciò che mangio è irrilevante. Una frase non esce meglio se mentre penso mi accanisco su un dolce o su della frutta, l’importante per me è fare qualcosa che interrompa quello stato di tensione fisica e soprattutto emotiva che ti ho descritto.
È quell’alzarmi, fare qualche passo, fare qualcosa di manuale come sbucciare una mela, buttare uno sguardo dalla finestra che mi aiutano. Per me è stato fondamentale capire questo.

Possiamo dire quindi che la consapevolezza ti aiuta a vigilare su un’abitudine potenzialmente non salutare mantenendone però gli effetti positivi?

Si possiamo dire così.

 

Autore: Roberta Necci